VOCE
IL CASO
04.07.2022 - 11:34
Una vicenda, avvenuta a Bologna, e che sta facendo parlare tutta Italia. Nel capoluogo emiliano, infatti, a metà giugno i titolari del chiosco del Caffè Terzi in piazza Aldrovandi si sono arresi e hanno abbassato le serrande di fronte all’ennesimo colloquio di lavoro conclusi in un nulla di fatto.
La vicenda
A quanto segnalano, non riescono a trovare un cameriere, al quale applicare un contratto in regola e con una mole di lavoro non certo proibitiva. La proposta, infatti, prevederebbe un contratto a tempo di indeterminato con stipendio netto di 1.300 euro al mese per 6,40 ore al giorno, sei giorni a settimana; ovviamente, alla luce della tipologia di attività, con disponibilità a lavorare anche nel weekend. "È la situazione reale: non si trova personale e siamo stati costretti a chiudere”. Così Elena Terzi, moglie del titolare Manuel, ha commentato la scelta, a suo dire obbligata, di mettere il lucchetto alle porte del locale. “Abbiamo un ragazzo in infortunio, ci sono le ferie. Ma quello che fa più male è vedere tutto questo disinteresse nei confronti del lavoro. Le persone ci chiamano, prendono appuntamento, poi non si presentano al colloquio senza nemmeno mandare un messaggio".
"Nessuno ha voglia di lavorare nel weekend"
La questione più difficile da superare, per la famiglia dei titolari, che ha altre due attività in città, è che nessuno ha voglia di lavorare nel fine settimana. "In generale la gente preferisce non avere impegni nel weeekend, anche se io penso che un barista dovrebbe essere abituato. Senza contare che noi facciamo solo servizio di caffetteria, non ci sono taniche da spostare o altri lavori pesanti da fare, né servizi serali: il chiosco apre dalle 8,00 alle 18,00, poi si chiude”.
"E' colpa del reddito di cittadinanza"
Inevitabile, poi, torna il refrain sul reddito di cittadinanza, col discorso che si allarga poi ai vari sussidi. “Chi ha il reddito di cittadinanza o la disoccupazione - prosegue il tirolare - dice che preferisce tenersi quelli. Abbiamo avuto anche persone che abbiamo assunto, poi al termine del periodo di prova ci hanno chiesto di non essere confermate per poter avere la disoccupazione”.
Ma i sindacati non sono dello stesso avviso
I sindacati, però, raccontano una storia diversa. “Abbiamo dati dell'ispettorato nazionale del lavoro che dicono che nel settore il 70% delle attività presentano delle irregolarità: non corretta applicazione dei contratti, non corretto pagamento delle ore di lavoro, degli straordinari, condizioni che non vengono rispettate. Forse è questo uno dei motivi per cui lavorare nel settore è meno interessante, meno attrattivo”, ha dichiarato Paolo Montalti, segretario generale della Filcams-Cgil dell'Emilia-Romagna. "La difficoltà nel trovare personale - ha aggiunto Montalti - non è legata al fatto che le persone non rinunciano al reddito di cittadinanza: dopo la pandemia molti si sono accorti che esistono esigenze diverse e quindi le persone lasciano con dimissioni volontarie seguendo altre scelte di vita".
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