VOCE
LO STUDIO
20.07.2022 - 08:01
In tutta la Regione sono quasi 10mila, ma il dato è comunque in calo rispetto allo scorso anno
Sono 9.575 le imprese venete che sono concretamente a rischio usura. Attività che attualmente danno lavoro a circa 33.500 addetti. Si tratta prevalentemente di imprese artigiane, esercenti-attività commerciali o piccoli imprenditori che sono “scivolati” nell’area dell’insolvenza e, conseguentemente, sono stati segnalati dagli intermediari finanziari alla Centrale dei rischi della Banca d’Italia. Di fatto, questa “schedatura” preclude a queste attività di accedere a qualsiasi altro prestito. A dirlo è l’ufficio studi Cgia.
A livello provinciale la situazione più critica si è registrata a Padova: al 31 marzo scorso le imprese segnalate erano 1.946. Seguono Vicenza con 1.913, Verona con 1.747, Treviso con 1.665, Venezia con 1.489, Rovigo con 562 e Belluno con 253. Rispetto allo stesso periodo del 2021, comunque, i dati sono in calo in tutte le nostre sette province.
Per i destinatari di questa misura è come se fossero stati condannati alla “morte civile”; un istituto giuridico diffuso in Europa fino al XIX secolo che al condannato comportava la perdita di tutti i diritti civili e il conseguente allontanamento dalla società. “Ricordiamo, infatti - dicono dalla Cgia - che chi è schedato alla Centrale dei rischi praticamente non può più beneficiare di alcun altro aiuto economico dal sistema bancario, rischiando, molto più degli altri, di chiudere o, peggio ancora, di scivolare tra le braccia degli usurai. Per evitare che questa criticità si diffonda, la Cgia continua a chiedere con forza il potenziamento delle risorse a disposizione del Fondo di prevenzione dell’usura”.
Strumento, quest’ultimo, in grado di costituire l’unico valido aiuto a chi si trova in questa situazione di vulnerabilità. Gli imprenditori che “finiscono” in questa black list della Banca d’Italia non sempre lo devono a una cattiva gestione finanziaria della propria azienda. Nella maggioranza dei casi, infatti, questa situazione si verifica a seguito dell’impossibilità da parte di molti piccoli imprenditori di riscuotere i pagamenti dei committenti o per essere “caduti” in un fallimento che ha coinvolto proprio questi ultimi.
E’ comunque doveroso segnalare che nell’ultimo anno il numero complessivo delle attività venete segnalate alla Centrale dei rischi è sceso di 2.659 unità. Questo lo si deve, in particolar modo, all’attività di “prevenzione” innescata dalle significative misure pubbliche di garanzia e dalla moratoria dei debiti per le Pmi introdotte in Italia dal 2020 per contrastare la crisi pandemica che ha aumentato notevolmente lo stock complessivo dei prestiti erogati alle attività produttive. Queste iniziative sono state più volte prorogate. Da ultimo, fino al prossimo 31 dicembre, data oltre la quale, il differimento potrebbe terminare definitivamente.
Come riportato dalla Banca d’Italia , dopo la forte espansione verificatasi nel 2020, l’anno scorso la crescita dei prestiti totali erogati dalle banche e dalle società finanziarie alle imprese venete ha subito una decisa frenata (+0,7 per cento). Va segnalata, in particolar modo, la situazione registrata in provincia Belluno: nell’ultimo anno la contrazione è stata dell’8% che, in termini assoluti, si è tradotta in una riduzione pari a 143 milioni di euro.
La decelerazione avvenuta a livello regionale è ascrivibile al fatto che la domanda ha subito una forte diminuzione; infatti, dopo il forte aumento verificatosi nel 2020, grazie alle misure anti-crisi messe in campo dall’allora governo Conte, successivamente la richiesta di credito da parte degli imprenditori è scemata. “Indirettamente - concludono dalla Cgia - questi dati ci confermano quello che temevamo; le difficoltà economiche emerse in questi ultimi sei mesi stanno colpendo soprattutto i più piccoli e per le banche è meglio non rischiare nell’aiutare chi si trova in difficoltà. Una strategia che rischia di ‘spingere’ involontariamente molti imprenditori verso le organizzazioni malavitose che, soprattutto nei momenti difficili, hanno invece la necessità di reinvestire i denari provenienti da attività criminali”.
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