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VENETO

Caso tamponi rapidi, gli indagati rigettano le accuse

Zaia: "Sia fatta chiarezza presto, nessuna gogna"

Caso tamponi rapidi, gli indagati rigettano le accuse

Rigettano tutte le accuse, i due indagati: Roberto Rigoli, medico trevigiano, considerato il "padre" dei tamponi rapidi, e Patrizia Simionato, ex dg di Azienda Zero, oggi dg di Ulss 5 Polesana.

La Procura di Padova ha chiesto il rinvio a giudizio. Rigoli risulta accusato di aver mentito sull’efficacia dei test rapidi per la diagnosi del Covid. Secondo il pm, Rigoli avrebbe anche fornito documenti falsi per attestare che test di tamponi rapidi erano stati verificati sui pazienti entrati in pronto soccorso a Treviso mentre non ci sono prove che questi test siano stati eseguiti.

I tamponi rapidi - come si ricorderà - sono stati sperimentati per la prima volta fra la prima e la seconda ondata di Covid diventando ben presto uno strumento di utilizzo comune, visto che i testi molecolari utilizzati fino ad allora oltre ad essere costosissimi non erano nella disponibilità sufficiente per testare i sospetti positivi.

L’accusa per Rigoli è di falso ideologico in atti pubblici commessa da pubblico ufficiale e turbativa nel procedimento della scelta. Nell’indagine c’è finita anche l’allora direttore di Azienda zero, e attuale dg dell’Ulss 5, Patrizia Simionato per avere firmato la delibera con cui il Veneto comprò 500mila di quei test. Test che, come detto, segnarono una svolta nella lotta al Covid fra le prime due ondate ella pandemia.

In pratica, secondo la Procura Rigoli avrebbe confermato di avere effettuato la procedura per verificare l’idoneità di quei test che poi l’Azienda zero comprò distribuendoli sul territorio.

A fare aprire l’inchiesta furono delle dichiarazioni di Andrea Crisanti secondo il quale l’attendibilità dei tamponi rapidi era inferiore a quella dei più costosi (e molto più lunghi da refertare) tamponi molecolari.

Il fascicolo d’inchiesta, affidato al pm Benedetto Roberti, risale all’aprile del 2021. Insomma: Azienda zero procedette all’acquisto sulla base delle valutazioni espresse dal professor Rigoli e senza appurare lo stesso - sempre secondo la procura - non aveva adempiuto compiutamente a quanto prevedeva l’avviso di ricerca di mercato.

"Piena fiducia nell’operato della magistratura per cui ho il massimo rispetto - ha commentato il presidente della Regione Luca Zaia - Spero solo venga fatta chiarezza il prima possibile perché il dottor Rigoli non merita una gogna, lo conosco da 30 anni e avrà modo di dimostrare tutto quello che sa sulla vicenda. Ricordo - conclude Zaia - che i tamponi oggetto dello scandalo sono stati usati non solo in Italia ma anche in tutto il resto del mondo".

I due indagati, comunque, rigettano tutte le accuse. "Nessuno mi ha mai chiesto di valutare l’attendibilità delle specifiche tecniche dei test", spiega Rigoli, mentre l'avvocato di Simionato spiega che "Non spettava a lei verificare le caratteristiche del test della Abbot".

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