VOCE
ROVIGO
23.07.2022 - 18:00
L’immagine che spiega tutto - e che si lascia sfuggire un addetto ai lavori - è lapidaria: “Ti porto in Australia. Prima però vinco al Superenalotto”. Insomma, una cosina di niente. Ed è (fatte le debite proporzioni) lo stato dell’arte nella vicenda Iras, in cui la soluzione sembra sempre lì a un passo, ma di sicuro non arriverà a luglio e forse nemmeno ad agosto, e il piano industriale su cui ormai sembrano aver trovato l’accordo l’ente assistenziale e il Comune poggia su un finanziamento da 2,5 milioni di euro che il municipio sta cercando di portare a casa con un progetto nell’ambito del Pnrr. Sì proprio quel Pnrr che secondo qualcuno potrebbe essere messo in discussione dall’uscita di scena di Draghi; ma questa - per ora - è un’altra storia.
Negli uffici di viale della Resistenza, intanto, si respira fiducia. Nei primi giorni di questa settimana, il commissario Ezio Zanon e il direttore Giovanni Luca Avanzi invieranno alla società milanese incaricata di fare da advisor, per le banche, al piano industriale, gli approfondimenti richiesti a corredo della bozza già presentata a giugno: entro la fine del mese, poi, è atteso il giudizio sull’attendibilità del piano, che secondo Iras non potrà che essere positivo.
La via maestra è quella della restituzione al Comune di Casa Serena. In cambio, il municipio dovrà riconoscere all’ente assistenziale 3,2 milioni di euro, ovvero il valore degli investimenti fatti negli anni sull’immobile (in primis le famigerate cucine) e non ancora ammortizzati. Di questi, 2,5 milioni si spera arrivino nell’ambito del Pnrr.
A quel punto Iras porterà a San Bortolo i circa 30 posti letto accreditati attualmente presenti a Casa Serena, e creerà qui una struttura da 300 ospiti, ritenuto il numero ottimale perché l’attività sia sostenibile dal punto di vista economico. Nota bene: per il trasloco è previsto un tempo massimo di due anni. Poi, il Comune a Casa Serena porterà avanti altri progetti, con Ater e Ulss. Ma anche questa - per ora - è un’altra storia.
Con il piano industriale finanziato, e i 3,2 milioni di euro in tasca, infine, Iras andrà a liquidare una parte del debito con le banche e a ridiscutere il pagamento della rimanenza, stabilizzando una volta per tutte (si spera) i propri conti.
Per farlo, però, serve il via libera definitivo del Comune, in giunta e poi in consiglio comunale. Un doppio passaggio delicato, dal punto di vista politico, per la maggioranza di Gaffeo, fin qui tenuta insieme da una “pax” quasi surreale tra le diverse anime. E che difficilmente, dal punto di vista tecnico, potrà avvenire entro agosto. Perché agosto? Perché tra 38 giorni esatti scadrà il secondo mandato da commissario di Ezio Zanon: sì, l’Iras sta tagliando il traguardo dei sei anni consecutivi di commissariamento, e l’attuale reggente indicato dalla Regione non è più rinnovabile. Venezia, dunque, ne dovrà indicare un altro, con il mandato di portare avanti la strada tracciata dal predecessore. Se ne parlerà, dunque, a settembre.
Ma i sindacati, intanto, esprimono preoccupazione. “Siamo in attesa di risposte - conferma Franco Maisto, Fp-Cisl - per questo, stiamo preparando una nota di richiesta ai vertici Iras per poter poi informare i lavoratori. A un mese dall’ultimo incontro in prefettura, non abbiamo ancora avute notizie sul futuro dello storico istituto. A livello sindacale crediamo che non si possa pensare di chiudere Casa Serena per poi attendere se vi saranno fondi per sistemarla tutta, si potrebbe pensare ad un lavoro a stralci con la garanzia dei posti letto e la tutela delle lavoratrici. La nostra attenzione sarà massima e saremo sempre contrari a progetti di privatizzazione, dove a pagare le scelte e i debiti passati siano i lavoratori con decurtazione degli stipendi”.
Sì perché il piano “B” sarebbe lacrime e sangue. In caso di fallimento dell’ipotesi fin qui illustrata, per Iras non resterebbe altro che passare tutto il personale in una nuova srl con contratti di lavoro di tipo privatistico, generando così un risparmio di gestione proprio sui costi del personale: meno tasse, sì, ma anche buste paga più leggere per lavoratori che, da dieci anni, hanno la propria produttività congelata.
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