VOCE
CARO VITA
23.07.2022 - 21:00
Alcuni dei prodotti più comuni, che troviamo sugli scaffali e che più o meno tutti acquistano, in queste settimane hanno visto crescere il proprio prezzo ben oltre la media dell'8% circa alla quale viene attualmente calcolata l'inflazione. In alcuni casi, si arriva al 100% e oltre di aumento di prezzo. Lo riferisce uno studio di Cia Padova, citato dal quotidiano Il Mattino di Padova.
Eclatante, in particolare, il caso delle patate: sette mesi fa, in occasione dell’ultima rilevazione dell’associazione, costavano 1,49 al kg, oggi si trovano a 2,98 euro al kg, per un incremento del 100%. Al produttore, però, vengono riconosciuti solo 35 centesimi. Non solo. In sette mesi le mele sono passate da 1,98 euro al kg a 3,48 euro al kg, per un aumento del 75% (al produttore vanno 70 centesimi), mentre i porri da 1,59 euro al kg a 2,50 euro al kg (al produttore sono “assicurati” 70 centesimi). Aumenti esponenziali pure per i finocchi e l’insalata: da 1,98 euro al kg a 2,98 euro al kg (+50%).
“È la legge del mercato al contrario – sottolinea il presidente di Cia Padova, Luca Trivellato – I prezzi finali stanno continuando ad aumentare, mentre agli agricoltori, in proporzione, viene riconosciuto sempre meno”. Nell’immaginario collettivo, a prezzi al consumo più elevati conseguono in automatico maggiori ricavi a favore degli stessi produttori. I fatti, però, dimostrano che non succede così, come puntualizza Trivellato: “Gli imprenditori agricoli rappresentano l’anello più debole della catena, non hanno alcun potere contrattuale. Spesso sono messi di fronte ad un valore al ribasso rispetto al quale possono solamente accettare. L’alternativa è chiudere l’attività”.
A volte conviene addirittura lasciare i prodotti sui campi invece che raccoglierli. Per un kg di anguria, ad esempio, vengono pagati appena 15 centesimi. “Con questi introiti, se così è possibile definirli, diventa sempre più difficile portare avanti un’azienda agricola”, aggiunge il presidente. Anche perché nel frattempo sono aumentati pure i costi del carburante agricolo, da 0,75 centesimi al litro agli attuali 1,50 euro, e dell’energia.
“A farne le spese sono sia i cittadini-consumatori, i cui salari o pensioni non vengono rivisti in base all’inflazione, che, appunto, gli imprenditori agricoli – prosegue – Rischiamo davvero un autunno caldo. Non da ultimo, la siccità sta mettendo a repentaglio le rese di tutte le colture. Motivo per cui nelle prossime settimane i prezzi finali potrebbero aumentare ancor di più, con pesanti ricadute sul tessuto economico e sociale”.
In questo quadro complicato, chiarisce Cia, le Istituzioni sono chiamate a far rispettare quanto previsto dal Decreto legislativo 198 del 2021 sulle pratiche commerciali sleali. All’articolo 5 viene espressamente vietata “l’imposizione di condizioni contrattuali eccessivamente gravose per il venditore, compresa quella di vendere prodotti agricoli e alimentari a prezzi al di sotto dei costi di produzione”. “Da anni stiamo battagliando in tutte le sedi opportune per un equo reddito – conclude il presidente - Non deve più accadere che gli agricoltori lavorino in perdita”.
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