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IL CASO

Licenziato per "commento sessista", il giudice ordina di riassumerlo

Una collega non aveva gradito gli apprezzamenti a una star dello spettacolo

Licenziato per "commento sessista", il giudice ordina di riassumerlo

Una decisione, quella presa dal giudice del lavoro del Tribunale di Padova, che sta facendo parlare, in queste ore, a livello nazionale. A riportare l'accaduto, il quotidiano Il Mattino di Padova.

Al centro di tutto, una frase con alcuni riferimenti sessuali, di cui tuttavia non era protagonista l’interlocutrice, addetta nel distretto Snam di Padova alla verifica del green pass e dipendente di Securitalia spa. E per un lavoratore della società energetica prima è scattato il procedimento disciplinare, poi il licenziamento. Un licenziamento sonoramente bocciato dal giudice del lavoro padovano Maurizio Pascali che, dichiarando l’illegittimità della provvedimento, ha ordinato a Snam l’immediata reintegrazione del dipendente (un portiere-tuttofare).

Non solo: lo stesso giudice ha obbligato la società al pagamento di un’indennità risarcitoria pari agli stipendi non incassati dalla data del licenziamento al rientro in azienda aumentata di interessi e rivalutazione. G.B. è stato tutelato dall’avvocato Roberto Finocchiaro, esperto di diritto del lavoro; Snam era rappresentata dal collega milanese Manlio Abati. Nei prossimi giorni il dipendente tornerà al lavoro, mentre Snam avrà 30 giorni di tempo per proporre l’eventuale appello.

A quanto ricostruito nel corso del procedimento, tutto avviene nella mattinata del 9 febbraio scorso e i due, come in altre occasioni, scambiano qualche chiacchiera. Il tema del giorno? Il festival di Sanremo che si sta svolgendo. In particolare, l’esibizione della cantante spagnola Ana Mena con la sua mise destinata a metterne in luce la fisicità.

A mettere nei guai il portiere una frase rivolta alla signora, invitata "a mettersi nei panni di un uomo quando si trova davanti a una donna con un décolleté così e che l’uomo si eccita di sicuro... se nasceva uomo avrebbe potuto capire questo pensiero".

Neanche un mese più tardi la signora si presenta nell’Ufficio personale Snam e segnala (verbalmente) il comportamento sessista del dipendente che, il 10 marzo, riceve la formale contestazione disciplinare.

"Le frasi riportate si pongono come gravemente offensive della dignità, del decoro e della reputazione di una lavoratrice... Il comportamento è ancor più grave" si legge nella lettera di contestazione, in quanto "costituisce molestia a contenuto sessuale... Il suo comportamento è idoneo a concretare il licenziamento".

Inutile la difesa da parte del lavoratore, assunto in Snam nel 1986, assistito da un sindacalista. E netto il rifiuto di Snam a intavolare qualunque trattativa. Il 24 marzo arriva la lettera di licenziamento per giusta causa: "Le sue giustificazioni - si legge - non fanno venir meno il comportamento contestato... contrario ai principi basilari che regolano i rapporti fra persone in un ambiente di lavoro".

Assistito dall’avvocato Finocchiaro, il lavoratore impugna il licenziamento. Il giudice decide di interrogare la lavoratrice, presunta vittima delle molestie. E la donna conferma la difesa del lavoratore: le parole del portiere erano riferite alla cantante Ana Mena in quei giorni sul palco del festival di Sanremo.

La signora chiarisce pure che il lavoratore aveva rispettato la sua volontà di non rivolgerle più frasi di quel contenuto o complimenti sul suo aspetto fisico (le aveva detto “quanto sei bella quando indossi i top”, espressione peraltro non contestata dall’azienda).

Alla fine il giudice ha dato ragione al ricorrente: "Le frasi non erano riferite alla lavoratrice anche se hanno urtato la sua spiccata sensibilità e non integrano una molestia sessuale in senso penalistico" scrive nella sentenza, "Quanto al fastidio provato dalla lavoratrice nell’essere chiamata bella anziché signora -  osserva il giudice,  - non possono avere rilievo giuridico i meri stati soggettivi connotati da eccessiva sensibilità nella valutazione delle parole dette nell’ambito delle relazioni umane". Chiara la conclusione: "Il fatto preso alla base per il licenziamento non sussiste".

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