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L'ALLARME

“La crisi scatenerà panico e aggressività"

“La crisi scatenerà panico e aggressività"

C’è chi è arrabbiato e aggressivo, e chi invece è paralizzato e non fa più un programma di vita. Sono due comportamenti opposti, entrambi dannosi, che stanno pervadendo la popolazione. Perché se non bastavano i due anni di pandemia, sono arrivate anche la guerra, la siccità e adesso la crisi energetica. E la popolazione vive in un continuo stato di panico. Lo spiega Alessandra Tozzi psicologa d’emergenza intervistata ieri mattina in diretta su Delta Radio e sulle nostre pagine social.

Ma chi sono gli psicologi d’emergenza?

“Sono gli psicologi che vengono attivati in tutte quelle situazioni di calamità o emergenza per soccorrere la popolazione e sostenere i soccorritori. Sono psicologi che hanno una preparazione particolare”.

Oggi le persone sono arrabbiate, molti non andranno a votare, siamo nel post pandemia, c’è stata la guerra e poi le bollette aumentate. Cosa implica tutto questo?

“In pratica, siamo passati dall’emergenza della Pandemia, che ha condizionato la vita a tutti quanti, a tutta una serie di emergenze successive che hanno dato l’impressione alla gente che l’incubo non finisca mai. Come appunto lo scoppio della guerra, la siccità, e ora la preoccupazione altissima per la crisi energetica e di conseguenza la possibilità per moltissime famiglie di non poter pagare le bollette. Questo comporta, dal punto di vista psicologico, una condizione di ‘arousal’ (una particolare condizione psichica Ndr) e panico costante. Fondamentalmente siamo sempre spaventati e alla paura si reagisce diversamente a seconda della personalità. Ad esempio con una paralisi, una condizione in cui la persona si sente ferma, bloccata e non fa più nulla, non programma perché non sa cosa aspettarsi domani e quindi si ferma e basta. Oppure al contrario, reagisce con un aumento dell’aggresività, che si manifesta sotto forme diverse. Lo vediamo ad esempio nei social con una escalation di reazioni esagerate anche di fronte alle piccole cose. E lo vediamo nella vita reale con troppa tensione e troppo panico che si stanno generalizzando. Teniamo presente che di solito la definizione di emergenza è per sua stessa natura qualche cosa di transitorio: dovrebbe avere un inizio e una fine. Mentre adesso siamo passati da due anni, che sono stati infiniti. La popolazione è allo stremo, non ce la fa più”.

C’è un margine di miglioramento? O le persone saranno sempre più arrabbiate? Cosa ci potrebbe far svoltare?

“Dico una banalità, ma la ritengo vera. Dovremmo provare a concentrarci di più sulle nostre vite, su quelle che sono le priorità del nostro piccolo quotidiano. Dal lavoro, alla famiglia, agli hobby, agli amici. Tornare a concentrarci sulle relazioni, sulle persone, su di noi. E questo ci dà la percezione di quello che è il nostro mondo. Altrimenti rischiamo di venire invasi da cose molto lontane delle quali non abbiamo nemmeno una percezione di concretezza ma che vanno a condizionare pesantemente le nostre giornate. Quindi la possibilità di miglioramento è tornare alle relazioni. Quelle fatte di persona. Tornare alle cose importanti. Lo dico in contro tendenza, lo so, ma dovremmo re-interessarci solo delle nostre vite, delle nostre cose”.

Questo stato d’animo, sempre arrabbiato, si ripercuote anche sui figli?

“Certo, teniamo conto che tutto quello che noi genitori promuoviamo in casa, i discorsi, le preoccupazioni, l’ansia, la condivisione come la preoccupazione per la questione del riscaldamento, viene percepito e lo troviamo nelle scuole, nei discorsi che i bambini fanno. E quindi certo che li condizioniamo. Ma credo che meritino un po’ di serenità. Stanno finalmente vivendo la scuola senza mascherina, un’emozione incredibile. Hanno di nuovo un compagno di banco. Dobbiamo riappropriarci di queste cose, che per molto tempo non sono state scontate”.

Si fa bene a raccontare ai figli come stanno le cose, o meglio raccontare favole?

“Io sono una forte sostenitrice del comunicare sempre la realtà. Ma va fatto con le parole giuste a seconda dell’età. Sia agli adolescenti che ai bambini. Senza spaventarli inutilmente per questioni banali”.

Quando è tempo di rivolgersi a un professionista?

“Quando i malesseri che tu senti condizionano la tua quotidianità. Perché finché un pensiero triste arriva ogni tanto può essere qualcosa di transitorio. Ma se questi pensieri e stati d’animo condizionano la tua routine, allora quello è il momento di chiedere aiuto”.

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