VOCE
Ambiente
19.10.2022 - 20:00
Una nuova pandemia da patogeni di milioni di anni fa? Potrebbe essere la trama del prossimo disaster movie, se non fosse che è agli studi degli scienziati come possibilità più che reale. Motivo, lo scioglimento dei ghiacci che, in alcuni casi, potrebbe "liberare", appunto, agenti patogeni vecchi di milioni di anni e a noi sconosciuti. Gli effetti che il cambiamento climatico sta già avendo sugli ecosistemi sono molteplici, e il riscaldamento globale è uno di quelli da tenere d’occhio per futuri spillover, i cosiddetti "salti di specie". Lo scioglimenti dei ghiacci, dei poli come delle catene montuose, potrebbe liberare microrganismi potenzialmente patogeni rimasti intrappolati anche per migliaia se non milioni di anni. A suggerirlo sono i risultati di uno studio dell’Università di Ottawa in Canada, pubblicati sulla rivista Proceedings of the Royal Society B. Il team di ricerca ha infatti trovato materiale genetico virale nei pressi del lago Hazen, il più grande lago d’acqua dolce dell’Artico, e ha calcolato le possibilità che un patogeno “scongelato” infetti degli organismi.
Del resto non sarebbe la prima volta che accade una cosa del genere: nel 2016 in Siberia settentrionale scoppiò un focolaio di antrace con decine di persone infettate e il decesso di un bambino. Una epidemia che non si vedeva dal 1941 e, da quanto ricostruito, è scaturita dalla carcassa di una renna infetta che si è scongelata a causa di un'ondata di caldo anomala. Peraltro alcuni scienziati francesi, nel 2014, avevano risvegliato un virus gigante di 30mila anni fa ritrovato nel permafrost siberiano, dimostrando che era ancora capace di infettare un organismo. Mentre, nel 2021, un team della Ohio State University ha trovato materiale genetico di 33 virus in campioni di ghiaccio provenienti dall’altopiano tibetano: 28 virus erano sconosciuti fino a quel momento e i ricercatori hanno stimato che possano essere rimasti intrappolati 15mila anni fa.
Rispetto alla possibilità che siano proprio le acque che scorrono dal disgelo dei ghiacciai a portare virus a noi sconosciuti, Stéphane Aris-Brosou e i suoi colleghi hanno raccolto campioni di terreno e di sedimenti dal lago Hazen, nell’Artico, e li hanno analizzati isolando molecole di dna e rna compatibili con sequenze virali già note. Grazie a un algoritmo hanno valutato la possibilità che questi virus riescano a infettare degli organismi, concludendo che il rischio maggiore è proprio in questi luoghi dove scorrono le acque di disgelo. In sostanza con l'aumento delle temperature il "salto di specie" è più probabile.
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