VOCE
ESTRAZIONI IN ALTO ADRIATICO
21.11.2022 - 11:00
“Sulla ripresa delle trivellazioni in Alto Adriatico è necessario applicare un approfondito principio di precauzione, perché i territori e le genti del Polesine stanno continuando a pagare per le improvvide scelte operate soprattutto dagli anni ’50. Pur consapevoli delle maggiori garanzie date dall’innovazione tecnologica e dell’interesse nazionale per l’autosufficienza energetica, non possiamo evitare di ricordare che la subsidenza di territori già fragili, come quelli del Delta Po, è un fenomeno che, se innescato, è irrefrenabile, trasformando la ricerca di un beneficio per la collettività in un dramma per le comunità locali”.
A ricordarlo è Francesco Vincenzi, Presidente dell’Associazione Nazionale dei Consorzi per la Gestione e la Tutela del Territorio e delle Acque Irrigue (Anbi), che ribadisce come sia “ingiusto che territori di Veneto ed Emilia Romagna, fra l’altro importanti asset turistici, continuino a pagare, da soli, le conseguenze di fenomeni indotti da scelte nazionali, rivelatesi controproducenti".
"I territori delle province di Rovigo, Ferrara e del comune di Ravenna - prosegue la comunicazione - sono stati interessati dallo sfruttamento di giacimenti metaniferi dal 1938 al 1964; l’emungimento di tali acque innescò un’accelerazione, nell’abbassamento del suolo, decine di volte superiore ai livelli normali: agli inizi degli anni ‘60 raggiunse punte di 2 metri ed oltre, con una velocità stimabile fino a 25 centimetri all’anno; misure successive hanno dimostrato che l’abbassamento del territorio ha avuto punte massime di oltre 3 metri dal 1950 al 1980. Successivi rilievi hanno evidenziato ulteriori abbassamenti nelle zone interne del Delta del Po".
L’“affondamento” del Polesine e del Delta Padano ha causato un grave dissesto idraulico, nonché ripercussioni sull’economia e la vita sociale dell’area; il locale sistema di bonifica è attualmente costituito da oltre 500 impianti idrovori ed il costo complessivo annuo per la sola energia elettrica supera i 20 milioni di euro, al netto dei recenti, abnormi rincari.
Accanto al riordino di tutta la rete scolante così come degli argini a mare, conseguenza della subsidenza è stato infatti lo sconvolgimento del sistema di salvaguardia idrogeologica, obbligando gli impianti idrovori a funzionare per un numero di ore di gran lunga superiore a quello precedente.
“E’ un onere, che ingiustamente ricade solo sulle comunità locali. Se le condizioni generali non permetteranno soluzioni alternative alle trivellazioni in Alto Adriatico, è indispensabile la certezza di cospicui interventi di compensazione per ridurre una palese ingiustizia a carico di territori già fortemente penalizzati; per questo, chiediamo che il problema subsidenza sia assunto come responsabilità nazionale attraverso una Legge Speciale, che preveda quantomeno il finanziamento di progetti per la messa in sicurezza del territorio e l’approvazione di una norma per l’eliminazione degli oneri di sistema sulle forniture di energia elettrica, finalizzate al funzionamento degli impianti idrovori, ricadenti nei territori subsidenti” conclude Massimo Gargano, Direttore Generale di Anbi.
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