VOCE
ECONOMIA
02.01.2023 - 19:00
Gennaio potrebbe essere un mese molto caldo per le forniture di dispositivi medicali agli ospedali e per oltre duemila aziende del Veneto. A creare il problema, il “payback sanitario”, una legge che comporterà per le aziende venete il versamento di circa 230 milioni di euro come compartecipazione alla maggiore spesa sanitaria sostenuta dalla Regione stessa.
“La questione ‘payback’ nasce nel 2015 con il decreto legge numero 78 in cui viene prevista la definizione di tetti regionali per i dispositivi medici - spiega Alessandro, titolare di un’azienda polesana di dispositivi medicali - con esso le aziende, che lavorano con enti pubblici, devono versare alle Regioni una quota dello scostamento del tetto, pari al 40% per il 2015, al 45% per il 2016 e al 50% a decorrere dal 2017”.
La quota rimanente di sforamento, invece, rimane a carico dei bilanci delle singole regioni. “Se una Regione quindi, spende più per acquistare i dispositivi è l’azienda fornitrice a dover restituire parte dei soldi alla stessa Regione - prosegue - il calcolo dell’importo, ovvero della percentuale da versare, viene fatto sul fatturato dell’azienda”. Fatturato, però, che comprende tutti i tipi di dispositivi forniti, e include anche una percentuale di Iva che le aziende non hanno mai incassato.
“Bisogna innanzitutto distinguere i dispositivi medicali da quelli normali - specifica - ad esempio i guanti non sono dispositivi medicali, alcune mascherine non sono dispositivi medicali mente altre sì. Tra i dispositivi medicali ci sono le valvole cardiache oppure tutta la strumentazione che serve per gestire il trasporto, in caso di un trapianto di organi. Ma la richiesta di versamento si basa sul fatturato totale, quindi include anche dispositivi non medicali".
"Coloro che hanno ricevuto la richiesta di versare questi importi hanno tentato di chiedere su quali fatture si basa questa percentuale, ma non hanno ricevuto risposta. Tra gli altri principi sbagliati il fatto che ti venga chiesto un rimborso che comprende anche la quota di Iva, che noi però non abbiamo mai incassato per via della legge dello ‘Split payment’ di Renzi che prevede che siano le pubbliche amministrazioni stesse a versare direttamente all’erario l’imposta sul valore aggiunto che è stata addebitata loro dai fornitori”.
E a creare difficoltà non sono solo gli importi richiesti ed i calcoli errati ma anche i tempi dati in cui pagarli. “Entro metà gennaio devi saldare quanto richiesto - prosegue - ma molte delle aziende non hanno certamente questi soldi. Si tratta di valori basati su diversi anni lavorativi passati, che molti imprenditori hanno già reinvestito in azienda”.
Il rischio quindi per le aziende non è solo quello di fallire, ma anche di non essere più nelle condizioni di fornire dispositivi salvavita e altro materiale per il corretto svolgimento delle attività chirurgiche. “Tantissime aziende lavorano su gare d’appalto - aggiunge - ma molte dopo la questione ‘payback’ stanno pensando di rinunciare. Se non trovano il modo di congelare la legge c’è il rischio concreto che gli ospedali si ritrovino senza forniture essenziali per continuare ad offrire un servizio importante”.
E a chiedere azioni rapide e concrete è anche la Cna locale. “Da mesi stiamo monitorando la questione - afferma il direttore, Matteo Rettore - sul ‘payback’ ogni regione si è mossa con tempi e modalità diverse, la Regione Veneto è stata tra le ultime. Se da una parte come Cna avevamo messo a disposizione delle aziende uno studio legale a cui fare ricorso e chiedere una diversa ripartizione di quanto dovuto, il ritardo nelle comunicazioni ha causato tempo molto ristretti per le eventuali azioni concesse alle aziende, e molte di esse non sapevano cosa fare o non hanno avuto il tempo di farlo. Attendevamo un provvedimento che lo rimandasse o annullasse ma non è stato fatto ancora nulla, perché la finanziaria ancora non è stata definita”.
La preoccupazione tra i titolari delle attività ora è concreta. “Il principio del ‘payback’ rischia di mettere in seria difficoltà molte aziende - conclude - e stiamo premendo perché venga almeno rivisto”.
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