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LA STORIA

Morto ad agosto, per la burocrazia è ancora vivo

Alla tragedia si aggiunge la beffa, per la famiglia la situazione è insostenibile

Morto ad agosto, per la burocrazia è ancora vivo

Il feretro di Luca Nogaris è arrivato in Italia a settembre, 41 giorni dopo la sua morte, avvenuta il 10 agosto, a New York, in circostanze non chiare, mentre era in una casa del Queens, insieme ad Alessio Picelli, rodigino anche lui e anche lui morto senza una causa ufficiale.

Il corpo del 38enne rodigino, artigiano conosciutissimo, è stato sepolto nel cimitero di Rovigo. Ma per l’anagrafe Luca è ancora vivo. Non c’è un certificato di morte e nonostante i continui solleciti al consolato italiano a New York, questo documento non arriva. E per quanto la ferita per la scomparsa di una giovane vita non si rimargini mai, in questo caso rimane aperta, purulenta.

Lo aspetta la ex moglie Stefania, che viene chiamata da scuola perché “il documento inoltrato non è firmato anche dal papà... anche se tutta Rovigo sa che non c’è più il papà dei miei figli” e lo aspetta l’avvocato della famiglia Nogaris, Elena Gagliardo, che commenta: “Una vera agonia, lo sollecito ogni settimana”.

In verità c’è una dichiarazione di morte giunta dall’ospedale newyorkese, spiega il legale, ma non basta alla burocrazia italiana per certificare la morte del giovane uomo. Ed è stato inoltrato anche un certificato di morte da New York, ma errato. “Nonostante che il Comune di Rovigo avesse inviato tutte le informazioni corrette - racconta Stefania - è arrivato un documento sbagliato: Luca risulta residente a Ceregnano, quando invece abitava a Rovigo. Abbiamo chiesto una rettifica, ma da quel momento il silenzio più totale. Il Comune scrive al consolato ogni 15-20 giorni, ho letto le email e anche l’avvocato Gagliardo prova costantemente ma non sappiamo ma dal consolato non rispondono. Continuo ad andare in Comune e l’impiegata allarga le braccia”.

La ex moglie è affranta: “Praticamente abbiamo seppellito un vivo, o almeno per l’anagrafe continua ad essere vivo. Da quello che ho capito, in America sono le onoranze funebri a rilasciare il certificato di morte e qui sarebbe l’inghippo, forse”. A cosa le serve questo documento? Stefania rida con amarezza: “Ci serve per tutto, per i bimbi, per i documenti da portare in banca, per l’ufficio delle Entrate, per avere la pensione di reversibilità per i miei figli. Sono trascorsi sei mesi e non riusciamo a sbloccare niente. Mi hanno chiamata da scuola ‘signora ha compilato male i fogli, manca suo marito...’ ho dovuto spiegare che era l’uomo morto a New York , che il papà purtroppo non c’è più. Ma se dovessero fare un controllo all’anagrafe ci va di mezzo anche la scuola...”.

Le fa eco l’avvocato Gagliardo: “E’ una vera agonia, abbiamo il certificato dell’ospedale, che non basta, sono sempre in collegamento con il consolato. Rispondono che prenderanno informazioni, ma poi il nulla. Per non parlare dell’esito dell’autopsia. Niente. Scrivo ogni settimana”. Da quasi sette mesi.

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