VOCE
TRE ANNI DI COVID
28.02.2023 - 11:00
Dolore, paura ma anche tanta speranza e necessità di non arrendersi mai. E’ il ricordo dell’emergenza Covid all’interno dei reparti, dove medici, infermieri e operatori sanitari ogni giorno sfidavano la morte, cercando di portare un sorriso.
“Il Covid è stata un’esperienza di tre anni, iniziata a marzo 2020, che ci ha travolto come un tsunami - ricorda Gian Luca Casoni, direttore di pneumologia dell’Ulss 5 - noi e gli infettivologi improvvisamente ci siamo trovati a gestire un virus totalmente sconosciuto e altamente patogeno”.
La tempestività in questo caso è stata fondamentale. “E’ stato aperto un reparto praticamente dalla mattina alla sera per accogliere i primi pazienti con sintomi respiratori - continua - il Covid era una malattia sconosciuta ma che andava gestita con rapidità perché le persone andavano in crisi respiratoria e servivano macchinari, come ventilatori ed ossigeno, per aiutarli”.
Uno tsunami che non si è arrestato, ma è andato credendo arrivando ad una seconda ondata devastante. “E’ stato necessario aprire un ospedale Covid, a Trecenta - aggiunge - una scelta lungimirante che ha permesso di mantenere l’attività non Covid, perché contemporaneamente al virus c’era da gestire la normale attività dato che le persone continuavano ad ammalarsi anche di altre patologie”.
La strategia vincente dell’ospedale di Trecenta è stata l’elasticità, gestita attraverso moduli che aprivano e chiudevano in base alla necessità. “I petali - specifica - con quattro reparti che gestivano i pazienti in base alla gravità. Così facendo abbiamo evitato che andasse in congestione il pronto soccorso. La modalità flessibile dei ricoveri permetteva di aumentare i reparti solo se necessario”.
Una battaglia lunga e complicata dove la differenza la fatta l’umanità, non solo interna al reparto. “La cosa che ricordo bene e che per noi ha davvero fatto la differenza è stata la vicinanza del territorio - conferma - privati, aziende e scuole che ci davano forza. Ricordo che un istituto aveva fatto addirittura una raccolta fondi per donarci un tablet da dare ai pazienti per rimanere in contatto con le famiglie. La malattia colpiva dal punto di vista organico ma anche umano, perché i pazienti erano completamente isolati e privati dei loro affetti. I parenti non avevano chiaro come stavano i loro cari, motivo per cui la comunicazione continua, anche attraverso questi strumenti, era fondamentale”.
Terribile il ricordo dei giorni in cui questa battaglia è esplosa in tutto il suo orrore. “C’è stato un punto in cui l’afflusso di pazienti, anche molto impegnativi e che necessitavano di ventilatori ed ossigeno, era talmente alto che si era a rischio di non avere più posti in ospedale - aggiunge - si è però riusciti ad aprire altri 30 posti ad Adria. Con Omicron è cambiata la malattia, non colpiva solo i polmoni o il cuore e attaccava il paziente fragile anziano. I reparti si riempivano di persone che, a causa dell’età, avevano già patologie ed il Covid peggiorava la loro situazione. Abbiamo quindi di nuovo rimodulato l’attività in base all’età degli utenti ma contemporaneamente abbiamo capito che non serviva più un ospedale unico e si è deciso di aprire più aree Covid negli ospedali del territorio. Un lavoro impegnativo”.
Ma tra gli aspetti negativi come sempre emerge un lato positivo ricordato con affetto. “I pazienti ricoverati praticamente vivevano solo con noi - afferma - per loro diventavamo famiglia e figura di riferimento. Il nostro ruolo ci ha permesso di diventare ancora più umani. Il Covid, nonostante tutto, ha portato ad una umanizzazione della sanità. Oltre a migliorarci nella terapia, perché ci ha costretto a studiare per riuscire ad utilizzare i farmaci che avevamo a disposizione per combatterlo, ha esaltato l’aspetto umano. Tanti medici, infermieri ed Oss hanno lavorato ore e ore senza sosta, a volte senza mai mangiare e lo facevano perché sentivano che era importante. Ricordo infermieri che consolavano i pazienti, li tenevano per mano, nonostante le tute, parlavano con loro, umanizzavano un ambiente terribile. Il Covid era nato per distruggere l’essere umano ma prima di tutto la persona e la risposta umana era quella che faceva la differenza in quei giorni. Ed il ritorno della gente non è mancato”.
La pandemia non è del tutto finita ma i primi segnali positivi arrivano. “Dalla settimana scorsa non ci sono più reparti solo per pazienti Covid - conclude - i reparti normali sono tornati normali insomma. Questo è un buon segnale, il primo che ci conforta e ci da grande speranza”.
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