VOCE
L'ALLARME
04.03.2023 - 11:00
Quasi cinquemila posti di lavoro, ma meno di 2.500 lavoratori disponibili. E’ la fotografia del mercato di lavoro, in questo momento, in Polesine. A dirlo è la Confapi di Padova, che denuncia, sia per la provincia di competenza che per la vicina Rovigo, una situazione drammatica, soprattutto per le piccole e medie imprese: “Una figura professionale su due, al giorno d’oggi, non si trova”.
In particolare, in Polesine, su 4.780 entrate previste nel mondo del lavoro, tra febbraio e aprile, per il 51% dei casi “le imprese prevedono di avere difficoltà a trovare i profili desiderati”: a conti fatti, parliamo di 2.342 persone mancanti. In tutto, nella nostra provincia, il 15% delle realtà imprenditoriali prevede di fare almeno un’assunzione entro il mese di aprile.
L’allarme non è nuovo, ma assume proporzioni sempre più ampie nel territorio veneto. Fabbrica Padova, centro studi di Confapi, ha incrociato i dati più significativi messi a disposizione da Veneto Lavoro e Unioncamere-Anpal, fotografando nei numeri una situazione che sempre più imprenditori lamentano.
L’anno appena lasciato alle spalle si è confermato più che positivo per il mercato del lavoro veneto: il saldo tra assunzioni e cessazioni è pari a 29.500 posti di lavoro dipendente in più. La crescita registrata nel 2022 è determinata esclusivamente dai contratti a tempo indeterminato, aumentati nel corso dell’anno di 37.400 unità e del +26% in termini di domanda di lavoro. Proprio Padova, in questo contesto, spicca per buona salute, con 6.900 posti di lavoro in più nel corso dell’anno, seguita da Venezia e Verona (entrambe attorno a 5.900 posti di lavoro in più).
Sul questo tema, Confapi Padova ha interpellato Tiziano Barone, direttore di Veneto Lavoro, l’ente regionale a cui sono attribuite le funzioni di direzione, coordinamento operativo e monitoraggio della rete pubblica dei servizi per il lavoro. “Il missmatching tra domanda e offerta di lavoro è un elemento strutturale in tutte le regioni competitive, in Italia e in Europa - evidenzia Barone in uno dei passaggi della sua analisi - ed è legato al fatto che il mercato del lavoro si è polarizzato tra alte e basse qualifiche, per cui a crescere maggiormente sono le professioni a elevata specializzazione (e remunerazione) e quelle a bassa qualifica, poco pagate, a discapito delle professioni intermedie, che a partire dal 2008 hanno registrato un continuo declino".
"Dopodiché occorre dire che le difficoltà nel reperire manodopera sono legate soprattutto a due fattori. In primis c’è quello demografico, vale a dire che le persone mancano per una mera questione numerica: per intenderci, in Veneto, nel 2030, la popolazione in età lavorativa diminuirà di 150 mila persone rispetto a oggi. Il secondo punto è legato alle competenze, perché se mancano 50 figure professionali su 100, di quei 50, metà non ci sono per le ragioni demografiche e l’altra metà perché i possibili candidati non hanno, appunto, le competenze per svolgere quella mansione. Ne consegue che il primo punto da affrontare riguarda interventi che influiscano sulla propensione delle famiglie a fare figli e sui flussi migratori. Per quanto riguarda invece le competenze penso, in particolare, allo spazio di riconversione di certi titoli di studio attraverso gli Its, riguardo ai quali serve una maggior consapevolezza da parte delle famiglie e delle stesse scuole. Ma va detto anche che, per far fronte al problema, di Its ne servirebbero dieci volte tanti”.
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