VOCE
EMERGENZA STAGIONALI
10.03.2023 - 20:00
“Molti ragazzi puntano a lavorare nei social. Le aziende devono essere nelle giuste condizioni”
Tanti turisti, pochi lavoratori stagionali. E' già allarme per la stagione estiva in arrivo anche a Rosolina Mare, come conferma Nicola Brugiolo, storico esercente della località balneare polesana.
“I nostri giovani non vogliono più fare la stagione. Siamo costretti a cercare manodopera al Sud. E anche questo non basta”, spiega l'esercente.
Anche quest'anno si prevede la mancanza di molti lavoratori stagionali, avete già questo sentore come esercenti? Lei sta cercando?
“Devo dire che, purtroppo, quest'anno si è addirittura aggravata la situazione. Siamo in caduta libera e non sappiamo spiegarcelo. Sicuramente quest'anno non possiamo dare colpa al reddito di cittadinanza. Il problema è che nei due anni di pandemia, essendo stata la ristorazione davvero tanto penalizzata, nessun ragazzo ha investito nel settore, non c'è stato ricambio generazionale. Mancano due annate di ragazzi. Non c'è stata formazione. E' notizia di questi giorni che in Veneto mancano 50mila figure professionali. 50mila, non 5mila, è una cifra enorme. Dopo il Covid il turismo di prossimità è stato riscoperto e rivalutato anche dai vicini Paesi europei e quindi c'è una grandissima domanda che supera largamente l'offerta”.
Ma, allora quale può essere il motivo di questa mancanza di lavoratori, a suo parere?
"Al di là, appunto, della mancata formazione di due generazioni di giovani, il problema è che il trend del momento per i giovani dai 18 anni in su è diventato il lavoro sui social. I ragazzi non vedono più come una soluzione possibile lavorare la sera o nei weekend, preferiscono, anche giustamente, uscire, divertirsi, fare altro. Sono ammaliati dal fatto che si possa campare con i social, questi nuovi lavori che vanno di moda oggi. Pensano di poter fare i soldi senza fare fatica e infine, pensano che il lavoro della ristorazione sia un lavoro che sanno fare tutti. Ma non è così: serve formazione, cultura, educazione. I ragazzi oggi non sanno neppure parlare, lo vedo quando fanno i colloqui di lavoro. E non è neanche colpa loro, i due anni di pandemia, senza relazioni sociali, hanno lasciato traccia”.
Cosa fare per attrarre lavoratori? Servono interventi del governo o del territorio?
“Prima di tutto bisogna formare le imprese, dobbiamo cambiare un po' anche noi, cambiare la diffidenza nei nostri confronti: non si può più pretendere di lavorare con il cameriere sotto casa. Bisogna strutturare il lavoro, prevedere alloggi. Vanno poi cambiati i contratti di lavoro per il turismo: serve maggiore flessibilità, non si può fare lo stesso contratto di uno che lavora in fabbrica. Noi siamo, per esempio, strettamente legati al tempo meteorologico. Questo anche per evitare situazioni di sfruttamento. Molti propongono cifre discutibili. Noi, poi, stiamo facendo richieste di personale al sud, ma stiamo pescando personale anche tra ucraini ed immigrati vari. Campiamo con l'immigrazione sia autoctona che europea che extra europea. Ma è un campare, sinceramente, comunque fai fatica a lavorare con gente che non ha mai fatto uno spritz. Un veneto passa tantissimo tempo al bar, è un po' nella sua cultura. E questa non si può insegnare. Ma è chiaro che con questa domanda servono lavoratori da fuori".
Come esercente che messaggio vuole lanciare ai nostri giovani?
"Le mode passano, il turismo invece no. Ci sarà sempre, e può essere un punto di partenza per sviluppare una azienda. Anche io ho cominciato facendo la stagione. Anche la ristorazione, gli alloggi, come i bar, ci saranno sempre. E poi un messaggio anche alle famiglie: dovete spronare i figli ad essere autonomi”.
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