VOCE
ROVIGO
22.03.2023 - 20:00
C’è la condanna a sei anni per l’albanese Sokol Hoxha, 50 anni, di Rovigo considerato il dominus dello spaccio tra i locali polesani nella maxi inchiesta “pizza e cocaina” partita da un’esposto anonimo a Rovigo e che si è allargata a macchia d’olio ad altri ristoranti e pizzerie della provincia. Ma c’è anche un’assoluzione dalla accusa di spaccio di sostanze stupefacenti per Giovanni Pavanello, titolare della pizzeria ristorante 7 Moli Porticciolo di Polesella.
Per quest’ultimo il giudice per le indagini preliminari Nicoletta Stefanutti, che ha celebrato il rito abbreviato, ha accolto la tesi della difesa, rappresentata dall’avvocato Michele Ciolino, per cui la droga trovata nel bagno del suo locale (50 grammi di cocaina) era conservata per uso personale. L’uomo è stato assolto per non aver commesso il fatto.
Diversa la posizione di Hoxha Sokol, difeso dall’avvocato Franco Giomo, condannato, appunto a sei anni. Su di lui vertevano le indagini condotte dalla squadra mobile di Rovigo, guidata dal commissario capo Andrea Ambrosino, mesi e mesi di appostamenti che hanno portato nel settembre scorso a sei misure cautelari (Sokol era finito in carcere) e un maxi sequestro di droga: due chili di cocaina, un etto di marijuana, 70 grammi di hashish e 25 grammi di eroina, oltre a 9mila euro di contanti.
“La procura ha chiesto la condanna - commenta l’avvocato Giomo che annuncia appello alla sentenza - ma non sono stati mai rintracciati né il magazzino da cui si riforniva Sokol, né chi fosse il fornitore, né se fosse produttore. Dopo un anno di sorveglianza e fotografie l’albanese è stato tracciato secondo loro quando faceva le consegne, ma mai è stata provata la sorgente. E la posizione cambia notevolmente”.
Lo schema della consegna di coca in un locale usato come deposito per le successive operazioni di spaccio, secondo la Procura, non riguardava solo piazza XX Settembre a Rovigo, da dove è partita tutta l’inchiesta dovuta a un esposto, ma anche la pizzeria “7 Moli” a Polesella e il ristorante “La Vidara” a Mazzorno Sinistro, frazione di Adria. Locali che erano stati temporaneamente chiusi mentre le indagini andavano avanti.
Gli inquirenti avevano subito capito che si trattava di soggetti specializzati poiché non vi era quasi contatto nelle consegne e i passaggi erano brevissimi e concentrati nei 3-4 giorni del fine settimana. Inoltre tra i tre ristoranti polesani non vi erano legami o rapporti e in alcune occasioni il “fornitore” andava semplicemente a consumare i pasti. Ora le posizioni dei sei indagati hanno preso strade processuali diverse, come spesso avviene.
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