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ANNIVERSARIO DELLA LIBERAZIONE

La Montecassino in riva all'Adige

A Cavarzere, ottant'anni fa, vittime, resistenza e bombardamenti

A Cavarzere, ottant'anni fa, vittime, resistenza e bombardamenti

27 aprile 1945. Il sottotenente Riccardo Bisogniero scorgeva con fiducia e ansiosa speranza il muraglione che sorreggeva l’argine dell’Adige, nel centro di Cavarzere. Lui, che aveva lottato alla guida della brigata “Cremona” per la liberazione della città, non poteva aspettarsi la visone che gli si propose, con tutta la sua irruenza cadaverica, davanti agli occhi, ancor intinsi di sudore e lacrime.

I cumuli di macerie fumavano. L’odore era acre, polveroso, carico di carne umana. Tra i motori dei mezzi militari completamente sfasciati, ecco che comparivano munizioni, stivali e piedi, guanti e mani, caschi e teste della colonna semovente tedesca in fuga verso il nord. Le pietre di secoli di storia cavarzerana parlavano, gridavano, ancora di più lo facevano i corpi muti e straziati, brucianti e sanguinanti, dei soldati tedeschi annientati. 74 civili morti, 680 abitazioni private e 18 edifici pubblici distrutti. Cavarzere, che si specchia nell’Adige, si ritrovava, nell’aprile di 80 anni fa, in una pozza di sangue senza precedenti, in un riflesso che squarciò il cuore del paese, in una ferita che ancora oggi rimane aperta; silenziosa testimone di un passato che non le risparmiò nulla, ma proprio nulla.

Già, perché la città veneziana non è mai stata estranea ai turbamenti, siano essi geografici, politici o bellicosi. “Cavarzere ha avuto una storia molto densa di fatti di sangue e la fine della guerra ne è stato solo il culmine” spiega infatti Liana Isipato, dell’Istituto veneziano per la storia della Resistenza (Iveser), nonché grande studiosa della località. Soggetta più e più volte a rotte, alluvioni, contesa tra Venezia e Rovigo, la città crebbe come centro pressoché agricolo. Povertà, malattie e disperazione i tre connotati di una società rurale che, prima con la Grande Guerra e poi con la strage della Seconda, perderà anche di più di quel poco che aveva. Ma il peggio, come annota Isipato, doveva ancora arrivare. Le canne del secondo organo più importante del Veneto (donato nel 1915 al duomo di san Mauro) tremavano. Dai soffitti iniziavano a piovere cornicioni e polvere, il fragore degli aerei stava passando sopra Cavarzere. Il 28 luglio 1944 avvenne il primo bombardamento aereo: nel mirino, il ponte ferroviario sull’Adige, l’ospedale, la casa di riposo, la distilleria e tante case civili. Da lì a gennaio, altre 26 incursioni che fecero salire il numero delle vittime, ben 102.

Sotto la trama di un paese ormai cessato, nel quale gli abitanti terrorizzati e ansimanti, scapparono verso le campagne, si muoveva però una rapida forza partigiana capace di tenere banco all’arrivo degli invasori dopo l’armistizio del ’43. “La lotta per il riscatto d’Italia richiese al paese il sacrificio di tanti cittadini ma era già attiva ben prima dei fatti del ’44; – continua Isipato – già nel 1921 ci fu una delle prime vittime dei fascisti, l’assessore socialista Giuseppe Pavanello, coinvolto in una sparatoria mortale”. Dopo gli episodi accaduti a Braghetta, in cui morirono tre di sei fascisti e il partigiano Maurizio Martello di Adria, il 5 luglio 1944 venne effettuata una rappresaglia alla località San Pietro di Cavarzere da parte dei brigatisti neri. “Nonostante il nascondiglio e la copertura offerta da numerose donne dell’abitato – annota la studiosa - in seguito a delazione, i fascisti stanarono dei giovani renitenti alla leva. Erano rifugiati in un locale ricavato sotto il pavimento dell’essiccatoio da tabacco. Alcide Boscolo, nascosto dietro all’armadio, venne fucilato per primo, seguirono nella triste lista, Rino Berto ed Enzo Narciso, fucilati davanti ai familiari a Cavanella d’Adige. Alfredo Marzola ed Enzo Bruno, al seguito delle torture impetrate loro nelle celle della Casa del Fascio, in centro Cavarzere, vennero portati sul ponte dell’Adige, lì mitragliati e lasciati scaraventare nelle acque, già color sangue, del fiume”. La strage non finì, i brigatisti appiccarono il giorno dopo un incendio a San Pietro. Così volgeva verso il termine un 1944 disastroso. Ma non era ancora finita.

I bombardamenti continuavano con disumana irruenza, fino a quei drammatici giorni: dal 23 al 27 aprile 1945, tutto quello che ancora rimaneva di Cavarzere viene raso al suolo dai bombardieri e dalle truppe alleate. Con l’ultimo bombardamento, risultò distrutta la chiesa di san Giuseppe, il Duomo, il Municipio e il ponte pedonale sull’AdigeEra sera, tardo pomeriggio quando il fragore metallico degli sganci arei terminò per sempre. Ormai le canne dell’organo non suonavano più, al loro posto, solo un silenzio eloquente, spettrale. Non a caso le cronache dell’epoca proposero l’accostamento Cavarzere-Montecassino e sempre non casualmente, nel 1998, il Comune ha siglato un gemellaggio proprio con Cassino, città Martire per la Pace.

“Dopo quel momento, tuttavia, Cavarzere con tutto il suo immane dolore non ha mai ricevuto alcun riconoscimento” conclude Isipato, non senza tristezza per un monito che va avanti da anni perché anche Cavarzere ottenga, almeno ora, la visibilità che merita, per i suoi sacrifici, per chi perì sotto il “valzer crudele delle bombe”. In attesa, ciò nonostante, continua quest’ultima: “Da più di vent’anni guido i giovani, gli studenti e i gruppi di cittadini lungo gli “itinerari della memoria in città”. Devo ringraziare il gruppo storico Iveser, grazie a loro abbiamo cominciato a portare memoria”. Memoria che, chiunque passi per Cavarzere, non può ignorare. Il campanile, o meglio, quel che ne rimane, è ancora lì, retto, malandato, ferito, colpito, che guarda e ricorda gli aerei sfiorare le campane: rintocchi del passato che, a 80 anni, riecheggiano e gridano ancora con forza.

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