VOCE
CRONACA
12.11.2025 - 21:00
È un piccolo oggetto di appena cinque centimetri, ma di inestimabile valore storico e artistico: il calamaio bizantino conservato al Museo diocesano di Padova, considerato l’unico esemplare esistente al mondo, torna al centro dell’attenzione grazie a una ricerca interdisciplinare condotta dall’Università di Padova.
Il progetto, coordinato dalla professoressa Valentina Cantone (storica dell’arte) e dal professor Niccolò Zorzi (filologo e storico), ha permesso di ricostruire e interpretare il ciclo iconografico inciso sul calamaio, utilizzato per secoli come contenitore dell’olio crismale della Cattedrale. Le analisi, condotte con le più moderne tecniche del CIBA – Centro interdipartimentale per lo studio e la conservazione dei beni archeologici e storico-artistici, hanno restituito nuove informazioni su materiali, epigrafi e simbologie.
Tra i risultati più rilevanti, la nuova lettura delle iscrizioni che celebrano il calligrafo Leone, e la scoperta delle raffigurazioni mitologiche che adornano il coperchio e il corpo cilindrico del manufatto: Apollo e Giacinto, Efesto ed Eros, le armi di Perseo e la testa di Medusa. Elementi che, spiegano gli studiosi, rimandano al mito della scrittura e dell’inchiostro purpureo, simbolo dell’eternità delle imprese eroiche.
«Il calamaio – spiega il direttore del Museo diocesano Andrea Nante – è uno dei reperti più antichi e preziosi del nostro patrimonio. È stato anche scelto come elemento centrale della mostra giubilare Rigenerati nella speranza, in corso fino a gennaio 2026».
La ricerca, realizzata con la collaborazione del laboratorio Digital Cultural Heritage, ha prodotto anche una replica in stampa 3D in scala 2:1, pensata per persone cieche e ipovedenti, che potranno così “toccare” le storie scolpite sul metallo.
«Questo studio – sottolinea la professoressa Giovanna Valenzano, direttrice del Dipartimento dei Beni culturali – non solo offre una lettura innovativa del calamaio, ma rappresenta anche un esempio di accessibilità e valorizzazione inclusiva del nostro patrimonio. È la dimostrazione di come la ricerca e la tecnologia possano riportare alla luce la bellezza nascosta dell’arte bizantina».
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