VOCE
CRONACA
25.11.2025 - 18:30
I bambini noti come i “bambini nel bosco” possono tornare a vivere con la loro famiglia. Ma per farlo, Catherine Birmingham e Nathan Trevallion devono collaborare pienamente con il tribunale e avere fiducia nel percorso avviato. Il provvedimento del Tribunale per i minorenni dell’Aquila è infatti provvisorio, e non esiste – allo stato attuale – una decisione definitiva di allontanamento. A sottolinearlo è Claudio Cottatellucci, giudice del Tribunale di Roma e presidente dell’Associazione italiana dei magistrati per i minorenni e la famiglia.
Secondo il magistrato, al centro dell’intervento ci sono due diritti fondamentali dei bambini: la tutela della salute e la vita di relazione. Diritti che, secondo gli atti del tribunale, risultano compromessi dal comportamento dei genitori, che finora non si sono mostrati collaborativi. Cottatellucci parla anche del clima di ostilità nato intorno al caso: “L’unica cosa di cui non c’era bisogno era una contrapposizione manichea”.
La famiglia nel bosco e il provvedimento
Il giudice spiega che l’istruttoria è durata 13 mesi. Il tribunale ha tentato più volte di recuperare le funzioni genitoriali attraverso prescrizioni civili, ma senza successo. Una visita neuropsichiatrica per valutare lo stato dei bambini è stata rifiutata dai genitori, che hanno addirittura chiesto 50 mila euro a figlio per accettare l’esame. “Quando ogni alternativa fallisce, si arriva a una decisione dolorosa, che nessun giudice prende a cuor leggero”, osserva Cottatellucci.
Il giudice difende anche Cecilia Angrisano, presidente della Corte che ha firmato il provvedimento: “È una collega esperta ed equilibrata. Le accuse di sequestro di persona sono inaudite. Serve rispetto per la giurisdizione”. Ricorda inoltre che il CSM ha aperto una pratica a tutela dei magistrati dell’Aquila. Cottatellucci chiarisce che la famiglia ha dieci giorni per presentare appello. E ribadisce che l’obiettivo è uno soltanto: il benessere dei minori. Con la collaborazione dei genitori, secondo il magistrato, questo obiettivo è pienamente raggiungibile.
La posizione degli assistenti sociali
Barbara Rosina, presidente dell’Ordine nazionale degli assistenti sociali, denuncia che la vicenda ha trasformato gli operatori sociali in bersagli, alimentando l’idea che “strappino i figli ai genitori”. “È una narrazione falsa e pericolosa”, afferma. Gli assistenti sociali lavorano sempre in équipe e seguono protocolli, valutazioni tecniche e linee guida, condividendo ogni scelta con magistrati, psicologi, educatori e psichiatri.
Le famiglie in difficoltà
Rosina ricorda che l’allontanamento è l’extrema ratio, utilizzata solo quando esiste un rischio reale e dopo aver tentato ogni percorso di supporto. “L’amore non basta”, spiega. “Per crescere in modo sano servono scuola, cure mediche, relazioni sociali, un contesto adeguato. Non è un’opinione: è un dato”. Il legame affettivo non viene mai negato, infatti esistono comunità madre–bambino e visite protette per preservarlo.
L’odio verso gli assistenti sociali
Secondo Rosina, l’ostilità nasce dal fatto che gli assistenti sociali sono tra le poche figure professionali che entrano nelle case per valutare la sicurezza dei bambini. “In situazioni di separazioni, violenze domestiche, dipendenze o malattie mentali, qualcuno ci accuserà sempre di aver sbagliato”. Un ruolo reso ancora più difficile dalla disinformazione diffusa da influencer e opinionisti, contro cui gli operatori non possono difendersi perché vincolati al segreto d’ufficio.
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