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CRONACA

Gianna Fratta su Beatrice Venezi: "Va chiamata Maestra"

La direttrice d’orchestra rivendica l’uso del femminile: "Nei ruoli apicali ci siamo anche noi"

Gianna Fratta su Beatrice Venezi: "Va chiamata Maestra"

Gianna Fratta, pioniera assoluta nella direzione d’orchestra — prima donna a guidare i Berliner Symphoniker, la prima italiana sul podio dell’Opera di Roma e la prima a dirigere il concerto di Natale in Senato — in un’intervista al Corriere della Sera parla di professione, linguaggio di genere e della recente nomina di Beatrice Venezi come direttrice musicale della Fenice.

Fratta, che chiede di essere chiamata «Maestra» proprio perché donna, ha un curriculum impressionante: sei lauree (Giurisprudenza, Discipline musicali, Pianoforte, Composizione, Musica corale e direzione di coro, Direzione d’orchestra). Sulla vita privata mantiene il riserbo: dal 2019 è sposata con Piero Pelù, ma non vuole che questo tema entri nel dibattito pubblico.

Parlando di Venezi, puntualizza che la questione «non riguarda il genere», ma «le modalità della scelta». Secondo Fratta, infatti, «l’orchestra non è stata coinvolta» nella decisione, elemento che suscita perplessità soprattutto considerando i precedenti della Fenice: «È stata diretta da Maestri come Chung e Inbal. Il curriculum è un indicatore: serve avere occasioni per costruirlo. Ma nel caso Venezi l’orchestra non ha avuto modo di metterla alla prova».

Fratta critica anche il modo in cui Venezi è stata presentata da politici e istituzioni: «Sentire dire “la ragazza di 35 anni”, o chiamarla semplicemente “Beatrice”, non descrive la sua professionalità. Nessuno avrebbe definito così Riccardo Muti, nemmeno da giovane». Aggiunge poi che il sovrintendente ha rassicurato l’orchestra sul fatto che Venezi non inaugurerà la prossima stagione: «Ma allora chi dovrebbe farlo, se non la direttrice musicale?».

Un altro punto per Fratta è il linguaggio: «Bisognerebbe chiamarla Maestra. Io stessa vengo chiamata Maestro, ma è una scelta arbitraria, non grammaticale. Serve più consapevolezza: nei mestieri apicali ci siamo anche noi donne, quindi possiamo usare il femminile».

Parlando della sua carriera internazionale, ricorda l’inizio con i Berliner Symphoniker: «Mi invitò il direttore musicale Lior Shambadal dopo avermi vista in una masterclass. Lo stesso accadde a Macao con Lü Jia». Racconta anche l’emozione della prima volta a Berlino: «Ero giovanissima, dirigevo a memoria. Mi dissero che, se non fossi piaciuta, qualcuno avrebbe bussato al camerino alla prima pausa. Quando bussarono, pensai al peggio. Invece mi stavano offrendo un caffè».

Sulla scelta tra opera e sinfonica preferisce parlare di repertori: «Tra Puccini e Haydn, scelgo Puccini; tra Mahler e un intermezzo del Settecento, preferisco Mahler». E ribadisce un suo celebre pensiero: «Non si può dirigere Beethoven senza aver letto Kant. La sua scrittura è profondamente legata all’idealismo tedesco. Un direttore deve essere un punto di riferimento intellettuale, non solo musicale».

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