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CRONACA

Meta userà la nostra “intimità digitale” per più pubblicità

L’azienda non aprirà i messaggi privati, ma sfrutterà i chatbot AI per profilare meglio gli utenti

Meta userà la nostra “intimità digitale” per più pubblicità

Da settimane gira la voce che dal 16 dicembre Meta inizierà a leggere i messaggi privati su WhatsApp, Instagram e Facebook per “darli in pasto alle AI”. La notizia, però, è falsa. I messaggi – soprattutto quelli cifrati end-to-end – non verranno aperti e letti in massa dall’azienda.

Il problema vero è un altro: dal 16 dicembre Meta inizierà a usare in modo sistematico le interazioni con Meta AI (il chatbot integrato nelle sue piattaforme) per addestrare i modelli di intelligenza artificiale e migliorare la profilazione pubblicitaria.

Cosa cambia davvero dal 16 dicembre

Meta lo ha chiarito a Snopes:

  • No, non userà il contenuto dei messaggi privati per addestrare le sue AI,

  • a meno che tu o qualcuno nella chat non condividiate volontariamente quei messaggi con Meta AI.

Il vero aggiornamento riguarda quindi tutto ciò che scriviamo ai chatbot: domande, sfoghi, racconti personali, problemi di salute, dubbi economici, difficoltà relazionali. Questo materiale – che spesso è molto più intimo di un post pubblico – servirà a:

  • raffinare i sistemi di intelligenza artificiale,

  • rendere ancora più mirate le inserzioni e i contenuti che vediamo.

La pubblicità arriva (anche) sui chatbot

Meta non è sola. Tutti i grandi dell’AI stanno convergendo verso lo stesso modello:

  • Google con le ricerche basate su AI,

  • Microsoft con Copilot,

  • Amazon con il chatbot Rufus per lo shopping,

  • Snapchat con MyAI,

  • e sempre più probabilmente OpenAI con ChatGPT.

Gli abbonamenti, da soli, non bastano a coprire i costi enormi dell’AI generativa. Per questo anche chi prometteva prodotti “senza pubblicità” si sta avvicinando al modello classico: piattaforme gratuite o semi-gratuite, alimentate dalla pubblicità ultra-personalizzata.

Con i chatbot, però, la profilazione fa un salto di qualità:

  • con i social si analizzavano like, ricerche, click,

  • con le chat AI si analizzano confidenze private, conversazioni lunghe, paure, desideri, relazioni.

È ciò che alcuni esperti definiscono “economia dell’intimità”: non si monetizza più solo l’attenzione, ma la parte più profonda e fragile della nostra vita personale.

Perché è più pericoloso del vecchio capitalismo della sorveglianza

Quando parliamo con un chatbot:

  • non c’è un pubblico visibile,

  • non c’è un feed,

  • abbiamo l’impressione di parlare “in privato”.

Questo abbassa le difese. Molti utenti scrivono senza pensarci troppo:

  • i nomi dei figli,

  • problemi di salute mentale,

  • tensioni di coppia,

  • situazioni di lavoro,

  • inclinazioni politiche.

Tutte informazioni che, combinate nel tempo, possono generare profilazioni estremamente precise e quindi annunci costruiti su misura, cuciti addosso alle nostre vulnerabilità.

I chatbot possono:

  • conservare e collegare tra loro queste informazioni in una storia continua,

  • usarle per suggerire prodotti, contenuti o servizi nel momento in cui siamo più fragili o influenzabili.

È qui che l’economia dell’intimità rischia di sconfinare in manipolazione.

L’Europa riuscirà a proteggerci?

Sulla carta, l’AI Act europeo vieta i sistemi di intelligenza artificiale che:

  • sfruttano vulnerabilità,

  • usano tecniche subliminali,

  • alterano in modo significativo il comportamento delle persone,
    compromettendo la loro capacità di decidere in modo consapevole.

Ma mentre queste norme vengono discusse, la Commissione europea ha presentato il Digital Omnibus, che va in direzione opposta:

  • semplifica l’uso dei contenuti degli utenti per addestrare i modelli,

  • sposta l’ago della bilancia dall’opt-in (consenso esplicito) all’opt-out (consenso presunto, con possibilità di tirarsi indietro solo dopo),

  • rischia di trasformare l’uso dei dati privati nella regola, e la tutela degli utenti nell’eccezione.

Insomma: Meta non leggerà tutte le nostre chat dal 16 dicembre, ma quello che diciamo alle sue AI – e a quelle di tutti gli altri – ha un valore enorme, economico e psicologico.

La domanda vera, oggi, è: chi metterà limiti a un capitalismo dei dati che non si accontenta più di sapere cosa ci piace, ma vuole sapere chi siamo quando ci sentiamo più soli e più fragili?

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