VOCE
SALUTE MENTALE
20.12.2025 - 20:00
Viviamo in un’epoca segnata dal disorientamento: vengono meno certezze ideologiche, riferimenti culturali stabili e legami sociali duraturi. In questo scenario fragile, la paura della perdita – di una relazione, di un ruolo, di un’identità – diventa una presenza costante nella vita quotidiana. È qui che si inserisce la sindrome dell’abbandono, spesso ridotta erroneamente al semplice timore di restare soli, ma in realtà molto più complessa e radicata.
A livello psicologico, questa condizione è strettamente legata alla dipendenza affettiva e affonda le sue origini nelle esperienze vissute nei primi anni di vita. Le modalità con cui siamo stati accuditi, rassicurati o trascurati durante l’infanzia plasmano il nostro modo di entrare in relazione da adulti, influenzando profondamente il rapporto con la vicinanza, la distanza e la separazione.
Il riferimento teorico fondamentale è la teoria dell’attaccamento, elaborata negli anni Cinquanta dallo psichiatra John Bowlby a partire dagli studi sui bambini cresciuti negli orfanotrofi, e successivamente sviluppata dalla psicologa Mary Ainsworth. Ainsworth ha individuato quattro principali stili di attaccamento che si manifestano anche in età adulta: uno sicuro e tre insicuri.
L’attaccamento sicuro è caratterizzato dalla fiducia negli altri e dalla capacità di vivere le relazioni senza il costante timore della perdita. Gli attaccamenti insicuri, invece, condividono una radice comune: la paura di essere abbandonati, di non essere abbastanza, di non meritare amore o di essere condannati alla solitudine. Questi timori possono tradursi in gelosia, controllo, iperadattamento o, al contrario, in evitamento emotivo.
Nella società contemporanea, il tema dell’abbandono assume forme nuove e meno evidenti. Non riguarda più soltanto le relazioni intime, ma si estende anche alla dimensione digitale: la perdita di popolarità sui social, l’esclusione da un gruppo WhatsApp, la sensazione di diventare invisibili dietro uno schermo. Il bisogno compulsivo di approvazione e riconoscimento può diventare una strategia per non sentirsi esclusi, aggrappandosi a legami sempre più impersonali e collettivi.
Accettare la possibilità dell’abbandono non significa rassegnarsi alla perdita, ma riconoscere la natura impermanente delle relazioni e della vita stessa. Con il supporto di un professionista, questa consapevolezza può trasformarsi in un’occasione di crescita: affrontare la paura, invece di evitarla, permette di sciogliere nodi profondi e di trasformare la crisi in cambiamento, restituendo spazio a relazioni più libere, autentiche e consapevoli.
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