Il tribunale civile di La Spezia ha autorizzato il cambio di genere anagrafico per un ragazzo di 13 anni, riconoscendo la solidità di un percorso clinico e psicologico avviato da tempo. La decisione si basa sulla diagnosi di disforia di genere, ovvero la sofferenza psicologica legata alla discrepanza tra il sesso assegnato alla nascita e l’identità di genere vissuta. Nella sentenza si legge che il minore “si identifica stabilmente come maschio, con un’espressione di genere coerente e continuativa sin dall’età prescolare”, mostrando nel tempo comportamenti, relazioni e modalità espressive costanti.
Il ragazzo è seguito dal 2021 dal centro per l’incongruenza di genere dell’ospedale Careggi di Firenze e dal 2023 assume triptorelina, un farmaco che blocca temporaneamente lo sviluppo puberale. Secondo i periti, la terapia ha ridotto in modo significativo il disagio psicologico, mentre restava una sofferenza legata alla mancata corrispondenza tra identità vissuta e documenti ufficiali. Proprio questo elemento ha pesato nella valutazione del tribunale, che ha riconosciuto come il percorso intrapreso abbia permesso al minore di maturare una piena consapevolezza della propria identità.
Nelle motivazioni si sottolinea che il cammino terapeutico e il sostegno psicologico consentono di concludere consapevolmente un progetto volto a ristabilire un’armonia tra corpo e identità, anche sul piano giuridico. Un passaggio che, secondo i giudici, non può essere rinviato automaticamente alla maggiore età se la situazione clinica lo rende necessario prima.
Massimo Lavaggi, psicologo e psicoterapeuta esperto di disforia di genere, spiega che “ci troviamo di fronte a un caso di maturità eccezionale”. Il ragazzo, racconta, ha iniziato la terapia bloccante già a undici anni, mostrando “un’assoluta adesione alla propria identità”, elemento centrale nella decisione del tribunale. Lavaggi chiarisce anche che non esiste un’età minima fissata dalla legge per il cambio anagrafico: ciò che conta è che la transizione sia certificata da perizie mediche e psicologiche.
Oggi, aggiunge l’esperto, non è più necessario un intervento chirurgico per ottenere il riconoscimento legale dell’identità di genere: è sufficiente un percorso ormonale strutturato e documentato. Per questo, spiega, “la tendenza della giurisprudenza è quella di non far aspettare i 18 anni”, perché il riconoscimento sui documenti rappresenta un passaggio fondamentale per il benessere della persona.
Lavaggi conclude ricordando che, nonostante i progressi, il clima verso le persone transgender resta spesso ostile. “C’è una sofferenza enorme in chi vive la disforia di genere”, afferma, sottolineando che questi percorsi riguardano un numero molto limitato di adolescenti ma possono essere decisivi. “Una disforia non presa in carico può portare a decisioni estreme, fino al suicidio”, ed è per questo che, in alcuni casi, intervenire prima della maggiore età può fare la differenza.