VOCE
TECNOLOGIA
29.12.2025 - 17:00
C’era una volta l’amore romantico. Poi sono arrivate le app di incontri. E infine è arrivata Raya, l’app che ha deciso che anche i sentimenti, come i club esclusivi, funzionano meglio se non fanno entrare tutti.
Mentre la gente comune continua a swipare su Tinder, Bumble e Hinge cercando affetto, attenzioni o almeno qualcuno che risponda, Raya gioca a un altro sport. Non cerca match: seleziona esseri umani. Prima ancora che tu possa piacere a qualcuno, devi risultare accettabile a un algoritmo con gusti molto precisi e una certa passione per Instagram.
Raya non è un’app di dating. È un concetto. È l’idea che il desiderio abbia una classe sociale e che non sia elegante mescolarle.
Il cuore, ma con il badge
Qui non ti iscrivi: ti candidi. Come per un master costoso o un lavoro malpagato ma “prestigioso”. Mandi la richiesta, colleghi i social, aspetti in silenzio. Nessuna risposta è già una risposta. Se vieni accettato, puoi pagare per partecipare. Se vieni ignorato, non sei rifiutato: sei semplicemente irrilevante.
Non è crudele, è efficiente. Non è snob, è “curato”. È il classismo che ha imparato a usare parole gentili.
Swipe a due mondi
Da una parte c’è il caos democratico del dating tradizionale, dove tutti hanno diritto a provarci e nessuno sa bene perché va male. Dall’altra c’è Raya, che promette qualità riducendo il problema alla radice: meno persone, meno rischio di doversi confrontare con chi non ti somiglia abbastanza.
Non si selezionano valori, intenzioni o profondità emotiva. Si seleziona il contesto. L’immagine. La rete. Il capitale sociale. L’amore, improvvisamente, non è più cieco: è miope e guarda solo dove conviene.
Adolescenza, atto secondo
La parte più tossica, però, non è l’esclusività. È il déjà-vu. Raya non inventa nulla. Riesuma.
È l’adolescenza che torna a bussare, solo con più filtri e meno innocenza. La sensazione di essere giudicati prima ancora di aprire bocca. Di non essere abbastanza belli, abbastanza interessanti, abbastanza giusti per stare “dentro”. Solo che ora non succede in un cortile di scuola, ma su uno schermo patinato che finge maturità.
Cresci, lavori, migliori, ti raccontano che conta chi sei. Poi arriva un’app che ti ricorda che no, conta sempre come appari. Solo che adesso lo chiamiamo networking.
La discoteca, ma senza musica
Raya è la versione digitale della selezione all’ingresso di una discoteca. Tu sei fuori. Dentro sembra tutto meglio. Non sai nemmeno chi decide, ma qualcuno decide. Ti guardano, valutano, confrontano. Se entri, bene. Se resti fuori, non è personale. Non sei tu. È il target.
La differenza è che almeno davanti a una discoteca puoi vedere il buttafuori. Qui no. Qui vieni scartato da un sistema astratto che non si assume nemmeno la responsabilità del giudizio. È più pulito così. Più elegante. Più vigliacco.
Crescere non basta
Ci hanno detto che crescendo certe dinamiche spariscono. Che l’esclusione, le gerarchie basate sull’apparenza, il sentirsi “non abbastanza” sono cose da ragazzi. Raya dimostra il contrario. Le abbiamo solo rifatte meglio. Più costose. Più silenziose.
Raya non crea il classismo nel dating. Lo normalizza. Lo rende aspirazionale. Lo trasforma in una feature.
Alla fine, se vieni accettato, lo dirai sottovoce, come chi entra in un club esclusivo ma finge che non gli importi. Se non vieni accettato, dirai che tanto non ti interessava. È la bugia universale degli esclusi.
Nel frattempo, l’amore continuerà a fare quello che fa sempre: ignorare le selezioni, entrare senza invito e ricordarci che l’unica cosa davvero innaturale non è essere rifiutati, ma pensare che qualcuno debba autorizzarci a provare qualcosa.
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