VOCE
Heysel 40 anni dopo
29.05.2025 - 21:00
“Eravamo sicuri che mio padre fosse in salvo perché alla televisione avevamo notato che lo striscione dello Juventus club di Torino era dalla parte opposta a quella dove si stava consumando la tragedia dell’Heysel. Invece la mattina dopo i carabinieri ci informarono che fra i 39 morti allo stadio di Bruxelles c’era anche mio padre Gianfranco Sarto. In quel momento ci cadde il mondo addosso”.
Sono passati 40 anni dal quel 29 maggio 1985, quel giorno allo stadio della capitale del Belgio era in programma la finale di Coppa dei Campioni fra Juventus e Liverpool, ma prima dell’inizio del match milioni di spettatori assistettero in diretta televisiva ad una delle più grandi tragedie legate allo sport. Gli hoolingans del Liverpool, infatti cominciarono a bersagliare una parte dei tifosi italiani, ma non solo, con ogni tipo di oggetto, ferri da cantiere, pietre ed altro; poi fecero pressioni sulle reti divisorie per invadere il settore riservato agli italiani, provocando una ressa pazzesca e il crollo di un muretto. Fu una strage.
“Mio padre - racconta Roberto Sarto, figlio di Gianfranco - era proprio nel settore Z, nella calca provocata dalla pressione degli hooligans cercò scampo verso il campo di calcio come tutti. Lui era con un amico che quasi all’improvviso si ritrovò sul terreno di gioco, in salvo. Mio padre invece morì schiacciato contro una grossa ringhiera che divideva i vari settori di quella gradinata”.
Gianfranco Sarto allora aveva 46 anni, da sempre tifoso della Juventus aveva già assistito a due finali di Coppa Campioni (quelle delle sconfitte contro Ajax e Amburgo). “Era andato a Bruxelles - racconta il figlio, che allora aveva 19 anni - con un amico assieme allo Juventus club di Torino. Per questo, avendo visto lo striscione dalla parte opposta a quella dei disordini, non pensavamo che fosse in pericolo. Solo in seguito scoprimmo che mio padre, il suo amico, ed altri, presero i biglietti del settore Z perché gli altri erano terminati”.
Roberto ricorda che “Quelle viste in tv furono sequenze terribili, che ci lasciarono sgomenti. Provammo a telefonare al numero che la Farnesina aveva messo a disposizione, ma le linee erano intasate. Non pensammo al peggio, credendo che mio padre non potesse telefonarci per la concitazione di quei momenti e per la difficoltà di trovare una cabina telefonica libera nelle vicinanze dello stadio. Il giorno dopo i carabinieri ci informarono che mio padre non c’era più”.
Per la famiglia Sarto in quel giorno cambiò tutto. “Ma io - continua Roberto - continuo a parlare ogni giorno con mio padre. Già all’epoca lavoravo con lui nella sua autofficina che ancora oggi porta il nome Sarto Gianfranco di Sarto Roberto, impossibile quindi dimenticarlo”. In questi giorni di rievocazioni di quei fatti sono in programma diverse cerimonie, “domenica - dice Roberto - sarò a Reggio Emilia, con l’associazione delle vittime, per l’inaugurazione di un monumento dedicato ai caduti dell’Heysel. Al museo dello Juventus stadium c’è una postazione che ricorda quella tragedia. E sempre a Torino nella piazzetta vicina all’hotel del complesso sportivo della Juve si inaugura un monumento dedicato ai caduti del 29 maggio”.
E a Porto Viro? “Da anni si dice di intitolare lo stadio, dopo i lavori di ristrutturazione, a mio padre. Sarebbe bello potesse avvenire in tempi brevi, per ricordarlo, e come monito per tutti sul fatto che dove c’è sport non ci deve mai essere spazio per la violenza. Anzi, in qualsiasi contesto non deve essercene”.
La tragedia dell’Heysel portò in primo piano la necessità di mettere regole e sicurezza nei luoghi degli eventi sportivi, a partire dagli stadi di calcio, e di promuovere la cultura del rispetto. Da quel 1985 iniziò il lento cammino verso un diverso modo di organizzare e guardare lo sport.
Anche Roberto Sarto è un tifoso della Juventus, e allo stadio ci va? “Certo, quando posso, ma sempre dopo essermi accertato che si tratti di situazioni di massima sicurezza, stadi sicuri e senza pericoli”.
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