VOCE
nove novembre 1989
08.11.2019 - 19:41
“Per la mia generazione è stata più imbarazzante la costruzione del Muro di Berlino, più di quanto abbia sorpreso la sua caduta 27 anni dopo”: Elios Andreini non si smentisce mai e riesce sempre a sorprendere anche alla soglia degli 80 anni, nonostante il fallimento di un’idea politica alla quale ha dedicato tutta la vita.
Nel giorno in cui il muro venne picconato, Andreini era da pochi mesi senatore sotto la bandiera del Partito Comunista italiano, dopo aver ricoperto per nove anni l’incarico di vicesindaco di Adria nella giunta di sinistra guidata da Valerio Cavallari, era stato segretario polesano del Pci, in ogni caso era una delle figure più influenti e autorevoli della sinistra polesana e veneta.
Dunque, a voi giovani comunisti diede più fastidio la costruzione rispetto alla caduta?
“Quando il muro cadde non ero più giovane. A quel tempo, nel 1962, vivevo ancora in Romagna, a Ravenna si diede vita a una consulta giovanile per capire che cosa stava succedendo. Era difficile trovare una spiegazione del perché la gente voleva scappare dal comunismo. Il motivo era prettamente economico: nella Germania ovest si guadagnava molto di più. Chi aveva un titolo di studio aveva stipendi che andavano dal doppio al triplo e oltre. Tutto questo, poi, è passato alla storia come aspirazione alla libertà. Forse è stato giusto così”.
Lei era senatore in quell’autunno del 1989, quindi era a contatto diretto con il vertice del partito: c’era la percezione che insieme al muro stava crollando il mondo comunista?
“Sì, questa percezione c’era. Ma fu meno traumatica di quanto si possa immaginare. La reale percezione che qualcosa stesse cambiando in maniera irreversibile si ebbe con l’avvento di Gorbaciov. Ha scatenato una grande ventata di entusiasmo con i gesti e con due parole magiche: glásnost (liberalizzazione, apertura, trasparenza), e perestroika (ricostruzione) che in pochissimo tempo diventarono termini molto popolari in tutto il mondo. Ma fin dalle prime mosse era parso chiaro che stava smontando l’impalcatura dell’Urss. Poi ha aperto tanti fronti che non è più riuscito a gestire”.
Lei ha incontrato Gorbaciov?
“L’ho visto ai funerali di Berlinguer. Era sconosciuto ai più. Ero molto incuriosito da quel personaggio”.
Che cosa la incuriosiva?
“Ai funerali dei principali leader dell’Internazionale socialista venivano mandati sempre i big, come si suol dire oggi. Anzi i leader in pectore. Al funerale di Togliatti venne Brezhnev, poco dopo prese il posto di Kruscev. Al funerale di Berlinguer, venne, appunto Gorbaciov e meno di un anno dopo divenne segretario del Pcus”.
In Polesine come è stato vissuto il 9 novembre di 30 anni fa?
“Guglielmo Brusco era stato nella Germania dell’Est proprio quell’estate, ma non si ebbe la percezione di quello che stava succedendo in maniera così traumatica. Io sono stato a Berlino Est qualche mese dopo la caduta del muro e posso dire che era dieci volte più bella di quella dell’ovest, anche perché vi era la parte più storica. Mi lasciò un velo di tristezza vedere la nostra ambasciata ancora distrutta dai bombardamenti”.
In Polesine Rifondazione comunista ha avuto un momento di gloria, erano solo nostalgici?
“Etichettarli così è senza dubbio diminutivo e in qualche modo sprezzante. All’inizio furono senz’altro critici nell’ammainare la bandiera del Pci ma non erano ancora un gruppo organizzato. Mi piace ricordare Severino Bolognesi e Severino Cavazzini entrambi di Porto Tolle ed entrambi deputati nel Pci che volevano continuare a credere nella Terza internazionale. C’era Giuseppe Galasso, consigliere regionale e loro riferimento provinciale. Così pure Giancarlo Morelli molto settario nel ragionamento ma rispettoso delle regole. Volevano restare ancora nell’orbita dell’Urss, ma la prematura caduta di Gorbaciov ha segnato la loro fine. Un pensiero voglio dedicarlo anche a Roberto Giollo che ha fatto il deputato con Rifondazione profondendo tanta passione e ben poca nostalgia”
Secondo lei è stato proprio inevitabile archiviare il Pci?
Andreini conosce già la risposta, non ha bisogno di pensarci, ma pronunciare quella sentenza gli pesa ancora, guarda in alto in cerca di aiuto. “Sì, ormai era antistorico”.
Sulla "Voce" di sabato 9 novembre l'intervista completa.
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