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Aborto choc, respinta a Rovigo

Il caso

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Una 41enne di Padova girò 23 ospedali per interrompere la gravidanza. Solo il sindacato la aiutò. Il caso risale al 2015, "Oggi c'è un discreto numero di non obiettori" assicura Compostella.
Prima di poter abortire ha girato tutto il Nord Est trovando la porta chiusa nella maggior parte dei casi, ospedale di Rovigo compreso.



Era il 2015 quando, mamma di due figli, una donna di Padova girò disperata per 23 ospedali, prima di riuscire a interrompere la gravidanza indesiderata, per via degli obiettori di coscienza e di una certa ritrosia a praticare l’aborto all’interno degli ospedali. La donna è sbattuta contro un muro di gomma anche a Rovigo, dove nessuno accolse la sua richiesta di aiuto.



“E’ una vicenda risalente a quando io non ero ancora direttore generale - precisa il direttore generale Antonio Compostella - e che è emersa oggi alla luce del clamore mediatico sull’obiezione di coscienza”.
Poi aggiunge: “Oggi abbiamo un discreto numero di non obiettori tra i nostri medici di Adria, Rovigo e Trecenta”.



Per la donna di 41 anni, già madre di due figli e in attesa del terzo, abortire era stato un calvario. A Padova, sua città natale e di residenza, le consigliano di rivolgersi altrove. Risposta negativa ovunque, mentre il tempo incalzava. In tutto 23 strutture ospedaliere, compresa quella di Rovigo, le avevano chiuso le porte in faccia. Le risposte erano le più disparate: non ce la facciamo, siamo già al limite, non riusciamo a stare nei tempi, ci sono le vacanze, sono tutti obiettori.



E’ stato l’intervento del sindacato della Cgil a sfondare un muro che negava quello che comunque per la legge italiana è un diritto della madre: interrompere la gravidanza.
La donna torna a Padova, questa volta aiutata dalla Cgil e qui riesce ad abortire allo scadere dei fatidici 90 giorni di gravidanza, oltre i quali non è più consentito.



Una storia che ha portato la Cgil del Veneto a chiedere che siano create le condizioni per il rispetto della legge 194, con l’assunzione di personale sanitario non obiettore.



Il rischio, infatti, è che le liste di attesa troppo lunghe costringano le donne a rivolgersi, quando va bene, a strutture private, o peggio a fare ricorso all'aborto clandestino. "Una vergogna sociale - afferma il sindacato - che la Legge 194 era nata proprio per contrastare. Non è concepibile costringere le donne ad intraprendere vere e proprie odissee per vedersi garantire il rispetto di una legge dello Stato”.



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