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Mio figlio l'ha uccisa, ma è malato

Il delitto di via Pascoli

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Eduard Halapciug parla dell'omicidio della moglie nella casa di via Pascoli, e del figlio accusato del delitto: è malato, ha bisogno di cure, gli starò vicino.
“Mio figlio era in piedi, fermo, vicino al cadavere di mia moglie tutto pieno di sangue. Il coltello con cui era stata uccisa gettato nel lavello, ancora sporco di sangue. Appena mi ha visto mi ha abbracciato dicendo che la mamma aveva finito di soffrire, che il dolore era uscito dalla casa. Che il diavolo non era più in lei”. A parlare è Eduard Halapciug, il marito di Tatiana, la 49enne romena trucidata nella sua casa di via Pascoli lunedì 6 novembre. Ed è anche il padre di Stefan Bogdan, il figlio 22enne accusato dell’omicidio della madre.


Eduard apre la porta di casa sua, al primo piano di un condominio in via Pascoli, e ci fa entrare nell’appartamento teatro dell’orrore. Il coltello dell’omicidio non c’è più, e nemmeno la poltrona dove Tatiana è stata trucidata, sequestrati dalla polizia. Poche cose nel soggiorno, dove qualcuno non mette ordine da giorni. Eduard mostra le foto di suo figlio Stefan da bambino, risalgono a tanti anni prima, prima di quel raptus inspiegabile. Come a voler ricercare una serenità perduta per sempre.
Ma Eduard non odia il figlio, anzi ripete a gran voce che “non è un criminale. Continuerò sempre a volergli bene, gli starò vicino. Perché quello che ha fatto non non è dipeso dalla sua volontà. Stefan è un ragazzo buono, ma è malato, soffre di disturbi della personalità. I medici parlano di bipolarità. Ha bisogno di cure”.


Eppure Eduard ha ancora negli occhi la scena di quella notte. “Erano le due e mezza di notte circa - racconta - mi ero alzato per fumare una sigaretta, sono andato in salotto, e poco dopo mi ha raggiunto mio figlio. Abbiamo fumato e chiacchierato come tante altre volte. In totale tranquillità. Lì vicino mia moglie dormiva sulla poltrona, lì e non in camera per via della malattia, doveva restare con una flebo infilata nel braccio, faticava a camminare. Meglio restare in salotto”.


Poi l’orrore: “Finita la sigaretta sono tornato in camera da letto, mio figlio è rimasto in salotto per finire la sua. Ad un certo punto da sotto le coperte ho udito uno, due, tre urli. Ho subito pensato si trattasse del pianto della bambina del piano di sopra. Ma poco dopo ho realizzato che le grida provenivano dal salotto. Sono corso di là e ho visto mio figlio immobile, accanto a lui mia moglie, stesa sulla poltrona, piena di sangue. Ha esalato gli ultimi due respiri e poi si è spenta per sempre. Ho guardato mio figlio che mi ha abbracciato dicendo che i dolori erano usciti dalla casa, non c’era più il diavolo”. La follia omicida si era appena consumata, poi nel giovane è tornato ad affiorare un barlume di lucidità. “Ha guardato verso il lavello - continua il padre - e ha detto di non toccare il coltello, c’erano le sue impronte digitali. Un coltello dalla lama lunga, oltre 30 centimetri, con la quale aveva appena trafitto la madre. Allora ho chiamato mia sorella, poi la polizia, per raccontare quello che era avvenuto”.


Il servizio completo sulla Voce del 17 novembre
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