Per il pm Davide Nalin è stata chiesta la sospensione cautelare dalle funzioni e dallo stipendio. Approfittando del suo ruolo avrebbe procurato vantaggi al Consigliere di Stato Bellomo.
Toghe e minigonne: è iniziato il conto alla rovescia sulle sorti del pm Davide Nalin, coinvolto in uno scandalo in cui si intrecciano diritto, maschilismo e soprusi. Venerdì la sezione disciplinare del Consiglio della Magistratura deciderà se sospenderlo o meno, in via cautelare, dalle sue funzioni e dallo stipendio.
Questa la richiesta formulata dal Procuratore generale della Cassazione Pasquale Ciccolo. I fatti di cui si sarebbe macchiato il 38enne padovano sarebbero talmente gravi, sotto il profilo disciplinare, da risultare “incompatibili con lo svolgimento dell’attività giurisdizionale nelle condizioni di necessario prestigio”.
Il magistrato padovano, insomma, avrebbe compromesso sia la propria credibilità, sia quella del ruolo che è chiamato a esercitare, al punto da rendere necessaria la richiesta di sospensione. Il 38enne padovano rischia il posto per aver svolto il ruolo di “mediatore” all’interno della scuola di formazione per magistrati “Diritto e Scienza srl”.
A capo della società c’era il Consigliere di Stato Francesco Bellomo, 47enne barese, anche lui sottoposto a procedimento disciplinare. Nel frattempo il sito della società è stato secretato: se fino alla settimana scorsa la galleria con le foto di borsiste in abiti succinti sedute accanto a Bellomo era visibile a chiunque; da qualche giorno per accedere al sito bisogna essere in possesso dell’apposita password.
Il “settarismo”, del resto sembra essere una delle caratteristiche della scuola. Gli aspiranti magistrati, infatti, accedevano soltanto dopo aver firmato un contratto in cui si “inchinavano” alle regole ferree decise dal fondatore. Non solo un rigido “dress code” che prevedeva tacchi a spillo, minigonne e trucco marcato, ma anche clausole più invasive parlavano anche di reperibilità totale e disponibilità a rispondere alle chiamate e ai messaggi di Bellomo e all’accettazione del giudizio della scuola sui partner delle borsiste.
Se il quoziente intellettivo dei compagni non superava una certa soglia, le ragazze dovevano interrompere la relazione. Senza possibilità di “appello” alle sentenza del fondatore perché ogni sgarro veniva considerato un illecito contrattuale.
E qui entra in gioco il ruolo del pm Nalin, che in più di un’occasione sarebbe andato a riscuotere per conto di Bellomo ciò che, in questa logica distorta, spettava di diritto al 47enne barese. La ragazza che ha fatto emergere la vicenda e che per un periodo ha avuto una relazione con il fondatore della scuola e dell’omonima rivista, racconta infatti che ogni qualvolta il suo rapporto affettivo con Bellomo attraversava momenti critici, interveniva Nalin, che in veste di mediatore analizzava i comportamenti della donna sul piano scientifico, ricordandole gli obblighi contrattuali.
E poco importava se le richieste invadevano la sfera personale, come quella di inviare una foto in atteggiamenti intimi. La scuola, del resto, non faceva distinzione tra sfera privata e sfera professionale. L’accusa disciplinare che pende sul capo del magistrato, dunque è quella di aver sfruttato il suo ruolo di magistrato per procurare vantaggi sessuali a Bellomo, minando la credibilità della giurisdizione, che - si legge nella richiesta di sospensione cautelare - “non può sopportare episodi di tale degrado”.
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