VOCE
La mostra
11.03.2020 - 00:38
Anche Dante Alighieri si è dovuto piegare al Covid-19. Chiusa fino al 3 aprile, infatti, salvo ulteriori decisioni governative, l’attesa mostra “Visioni dell'Inferno” di Palazzo Roncale che, in anticipo di un anno, doveva avviare le celebrazioni dantesche per i sette secoli dalla morte del padre della lingua italiana. Dopo una partenza ritardata il 6 marzo - doveva essere inaugurata il 28 febbraio -, in sordina e senza l’inaugurazione ufficiale, la visitazione all’esposizione è stata rinviata, in seguito al nuovo decreto ministeriale di domenica 8 marzo sulle misure di contenimento e gestione dell’emergenza epidemiologica.
In attesa di poter visitare la mostra, proviamo dunque a darne alcuni assaggi. Ad incominciare dal titolo del progetto “La quercia di Dante” ed il legame con il comune deltizio. Secondo una tradizione popolare, nel 1321, per la seconda volta nella sua vita, Dante, ormai ultracinquantenne, si smarrì in una selva oscura e questa volta realmente ben diversa da quella allegorica, che apre il poema. Si trattava del bosco, che si estendeva nelle paludi acquitrinose del Delta del Po, ultimo lembo superstite della foresta originaria della Pianura Padana. L’Alighieri, di ritorno da un’ambasceria alla Repubblica Serenissima di Venezia per conto del signore di Ravenna, stante ad un suo racconto, si smarrì in quell’intrico di rovi e boscaglia su una distesa piana anonima e, per ritrovare la strada, salì su un’enorme quercia, la cui alta vista lo guidò, ben diversamente dal poetico Virgilio, verso la più prosaica casa. Ora molti ricorderanno “la Gran rovra di San Basilio”. Il secolare esemplare di quercia che dominava l’argine del Po di Goro nei pressi di San Basilio, fino allo schianto fatale il 25 giugno del 2013. Ebbene, gli arianesi non hanno dubbi che si tratti proprio dell’albero di Dante.
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