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URBANISTICA

Polesine a rischio desertificazione: 48mila ettari a rischio di aridità

La Coldiretti punta il dito anche contro l’urbanizzazione: utilizzato il 9% del territorio

Polesine a rischio desertificazione: 48mila ettari a rischio di aridità

La Coldiretti punta il dito anche contro l’urbanizzazione: utilizzato il 9% del territorio

Nelle cartine emerge colorata, è la zona tra la bassa padovana e la provincia di Rovigo: 48mila ettari a rischio di aridità, perché caratterizzati da una bassa piovosità. In queste aree è possibile solo l’irrigazione di soccorso, che implica la disponibilità di acqua nella rete idraulica. Ne consegue che, in anni siccitosi, come il 2003 e il 2012, i campi coltivati a mais, soia e barbabietole rischiano di perdere l’intero raccolto.

L’osservazione di Coldiretti Veneto è legata alla giornata della desertificazione proclamata dalle Nazioni Unite, del 17 giugno scorso, e dedicata quest’anno a “Cibo, mangini e fibre” con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica rispetto al consumo dei suoli e al mantenimento delle risorse idriche. In questa fascia di terra - spiega Coldiretti Veneto - le nuove generazioni di agricoltori hanno scelto di piantare canapa (ad esempio) quale coltura a basso fabbisogno idrico e di fertilizzanti che non necessita normalmente del diserbo, oppure, si sono dedicate alle coltivazioni biologiche che pongono particolare attenzione alla gestione della sostanza organica, elemento principe della fertilità dei suoli. Un presidio strategico - commenta Coldiretti Veneto - per la cura e manutenzione dell’equilibrio naturale.

La presenza dei giovani in agricoltura è un grande contributo alla salvaguardia del territorio e allo stesso tempo della conservazione della superficie agricola regionale. Nel complesso la superficie urbanizzata in Veneto ammonta a 224mila ettari, ovvero al 12,2% della territorio, contro una media nazionale del 7,6%. Tra le province più interessate dal fenomeno Padova e Treviso. Da non sottovalutare l’avanzamento del bosco, particolarmente significativo nelle zone di montagna a causa dell’abbandono dei prati pascoli (tra il 2000 e il 2010 si sono persi 31mila ettari a prato e a pascolo). In Polesine risultano urbanizzati 16.100 ettari, il 9% dell’intero territorio.

Per queste ragioni la legislazione regionale ha previsto uno stop all’urbanizzazione sfrenata; è però necessario assicurare un settore agricolo vitale per mantenere il territorio in modo adeguato. Fanno ben sperare i neo imprenditori agricoli che investono nel settore primario per progetti imprenditoriali all’insegna della qualità della vita. Lo confermano anche gli ultimi dati del bando del Programma di sviluppo rurale: 435 le nuove aziende agricole, 332 in pianura e 103 in montagna. Nonostante la crisi provocata dall’emergenza sanitaria, le pratiche presentate per il miglioramento delle strutture agrituristiche, fattorie didattiche e sociali sono 203, gli interventi richiesti di miglioria aziendale 754 e le misure per la gestione controllata della risorsa idrica 304.

Per Coldiretti Veneto è uno spaccato interessante che somma 1.696 istanze innovative e di ammodernamento pari ad un bisogno di 146,58 milioni di euro di cui assegnati solo 78 milioni. Da sottolineare che l’insieme delle linee attiva investimenti per oltre 300 milioni di euro. Questi numeri sommati a quelli del triennio 2017-2020 fanno riferimento a oltre mille nuove imprese agricole, linfa vitale per una regione come il Veneto ai vertici nazionali per produzione di specialità Dop/Igp.

“Occorre tenere sempre più in considerazione i cambiamenti climatici con una decisa tendenza al surriscaldamento con il moltiplicarsi di eventi estremi con manifestazioni violente, sfasamenti stagionali, precipitazioni brevi ed intense ed il rapido passaggio dal maltempo alla siccità - dicono dall’associazione di categoria del settore primario - che compromettono le coltivazioni nei campi con costi per oltre 14 miliardi di euro in un decennio, tra perdite della produzione agricola nazionale e danni alle strutture e alle infrastrutture nelle campagne. In un Paese comunque piovoso come l’Italia, che per carenze infrastrutturali trattiene solo l’11% dell’acqua occorre un cambio di passo nell’attività di prevenzione per evitare di dover costantemente rincorrere l’emergenza con interventi strutturali”.

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