VOCE
20.05.2025 - 17:02
Se si sfoglia un dizionario alla voce simbolo, si trova una definizione essenziale: “segno corrispondente a contenuti particolari o universali”. Ma per comprenderne il significato profondo, bisogna rivolgersi – come spesso accade – all’antica Grecia. Il termine symbolon indicava un oggetto spezzato in due parti irregolari, ciascuna affidata a persone diverse. Solo combaciando perfettamente, quelle due metà potevano testimoniare un legame, un patto.
Il simbolo, dunque, non è solo una rappresentazione. È memoria condivisa, chiave di riconoscimento, traccia visibile di un invisibile comune. E proprio per questo i simboli ci parlano, silenziosamente, ogni giorno. Nel quotidiano, nell’arte, nella religione, nella politica. Ma anche – con sempre maggiore insistenza – nel gaming.
Anche nel contesto del gaming, il simbolo non è decorazione. È linguaggio, funzione, mito. Pac-Man, il cerchio giallo che inghiotte puntini come se divorasse il tempo stesso, è più di un personaggio: è un’icona generazionale. Il fungo rosso di Super Mario, che consente al protagonista di crescere, è un chiaro richiamo alle icone di trasformazione presenti in tante culture. Così come i pulsanti della PlayStation – triangolo, cerchio, croce e quadrato – sono diventati un alfabeto per milioni di utenti, ciascuno con un significato operativo e psicologico. Questi elementi non sono neutrali. Sono carichi di intenzione narrativa e funzionale, tanto che li riconosciamo anche al di fuori del contesto ludico. Una maglietta con un triangolo verde non è solo moda: è appartenenza, citazione, codice.
Se nei videogiochi le icone hanno funzione narrativa, un discorso a parte meritano le slot bar online da comparare con le nuove forme digitali: anche qui il simbolo conserva un ruolo centrale. Il numero sette, la campana dorata, la ciliegia: figure semplici solo in apparenza, sono divenute veri totem culturali. Qui, il segno assume una funzione concreta oltre che estetica: serve anche a definire la possibilità di vincita. E non è un caso che molti dei simboli più longevi del gioco d’azzardo provengano da un immaginario quasi araldico. Questi segni non sono scelti a caso: si sono imposti nella mente collettiva come totem della fortuna e dell’incertezza. Oggi, accanto alla tradizione, troviamo segni moderni: personaggi mitologici, animali esotici, oggetti misteriosi. Ma la funzione resta la stessa: ogni icona è una promessa. Di vincita, di continuità, di gioco. Non importa se su uno schermo fisico o digitale, il meccanismo rappresentativo è identico.
Ciò che colpisce, è come il simbolismo nei game rifletta sempre più i gusti e le mitologie della nostra epoca. In una realtà ipervisiva e accelerata, il segno permette sintesi: un’icona racchiude una storia, un contesto, un’emozione. E il gioco, a sua volta, diventa uno specchio in cui osservare le nostre aspirazioni, le nostre paure, i nostri sogni ricorrenti. È interessante notare come queste icone si rinnovino costantemente, ma senza mai perdere quella funzione originaria: quella di connettere. Chi gioca sa che un certo segno porterà qualcosa. Un bonus, un livello segreto, una possibilità. Come un antico symbolon, queste icone promettono un senso, purché si sappia riconoscerle.
In definitiva, riflettere sui simboli nel gaming significa addentrarsi non solo nell’estetica o nella semantica del gioco, ma anche nella lunga e stratificata storia dei videogiochi, che affonda le radici in un intreccio di cultura, tecnologia e immaginario collettivo. Parlare di simboli vuol dire riconoscere il legame profondo che l’umanità ha sempre avuto con il segno e il significato, e accettare che, anche nei prodotti più commerciali o apparentemente effimeri, si cela spesso un’eredità culturale invisibile ma potente. Come scrisse Elias Canetti: “Nessun simbolo è innocente”. Ecco perché anche nei videogiochi – forse proprio in questi mondi sospesi tra regola e fantasia – vale la pena fermarsi, osservare, decifrare. Perché dietro una figura stilizzata, un’icona luminosa o un oggetto di gioco apparentemente banale, può nascondersi una narrazione antica, un mito reinterpretato, una traccia antropologica. E ogni giocatore, consapevole o meno, diventa allora qualcosa di più: un lettore attento dei segni e, in fondo, un interprete di mondi."
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