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VISIONI

Diversità: strana (?) ma vera

Diversità: strana (?) ma vera

Giovanni Biasin, Veduta di Venezia (particolare. Accademia dei Concordi)

Si parla assai di “diversità”: chi per negarla, chi per farne un’apologia degna di uno spot pubblicitario. Se ne discute ovunque: nei convegni, nei piani strategici, nelle brochure aziendali, nei corridoi del Parlamento, negli sgabuzzini dei partiti, luogo dove si scaricano più slogan che argomenti e idee.

Ma che cos’è questa diversità? Parrebbe, a sentire in giro, un’idea quasi sovversiva: significa che, in un gruppo di individui, nessuno è identico all’altro per qualche caratteristica. Incredibile, vero? Ci voleva un comitato etico o il politico del giorno per annunciarlo. Viviamo in un mondo dove, da circa trecentomila anni, l’unica vera regola di Homo sapiens (la nostra specie) è che siamo tutti diversi, ciascuno a modo suo.

Serve ribadirlo? A giudicare dal numero di buontemponi che lo ignorano parrebbe di sì. Ma diversi in che senso? In tutti quelli immaginabili: altezza, colore degli occhi, numero di denti cariati, paia di scarpe possedute, opinioni politiche, fidanzati e persino la quantità di mal di schiena collezionata negli anni. Basta un minimo di fantasia, e la differenza salta sempre fuori.

Se però vogliamo parlarne “più seriamente”, conviene distinguere tra diversità fattuale (età, abilità motorie e funzionali, sesso biologico, capacità economiche, ecc.) e diversità valoriale (idee politiche, credenze religiose, valori morali, visioni del mondo, tradizioni, genere, orientamenti sessuale, ecc.). Qui le cose si fanno più interessanti. Non basta sapere chi ha il ginocchio rotto o distinguere i vaccinati dai non vaccinati (diversità fattuale); bisogna anche tener conto di chi rifiuta la trasfusione o vede Satana nei vaccini (diversità valoriale).

Negare l’una o l’altra diversità sarebbe sciocco: il problema non è se esistono, ma fino a quando e per quanto riusciamo a conviverci. E non tanto per la diversità fattuale, che solo ai più ottusi crea disagio, quanto per quella valoriale, che invece solleva questioni delicate.

Qui emergono due ordini di problemi. Il primo ha a che fare sempre con i più ottusi fra noi: attribuire valore, spesso negativo, a una data diversità fattuale: “tu sei nero, io no, quindi vali meno”; “tu sei di un sesso diverso dal mio, dunque sei inferiore”; “hai una disabilità, quindi sei inferiore”; “hai meno soldi, vieni da un altro paese, ergo sei inferiore”; “sei di etnia diversa dalla mia, dunque vali meno”. Una pseudo-argomentazione tanto diffusa quanto intrisa di ignoranza e di stupidità.

Il secondo problema, ben più serio e da affrontare con una politica seria e intelligente (non quella caricaturale cui spesso assistiamo), riguarda la convivenza tra diversità valoriali. In questo caso, se si vuole vivere insieme, serve un accomodamento dei valori. Ma fino a che punto dovrebbe giungere questo accomodamento? Quanto possono spingersi pubblicamente i valori della tua tradizione, della tua morale, della tua religione, senza ostacolare una pacifica convivenza con la mia tradizione, la mia morale e la mia religione?

Qui sta il cuore del problema dell’inclusione, che altro non è se non una questione di accomodamento, quando gli individui coinvolti hanno un minimo di buon senso. Quando invece sono stolti, non preparati o ideologicamente impermeabili alla realtà, e alla sua inevitabile diversità,  la convivenza diventa subito conflittuale.

In definitiva, la diversità, sia essa fattuale che valoriale, non può essere negata. Eppure non manca chi è pronto ad alimentare il conflitto, convinto che la propria diversità sia “migliore” di quella altrui. Del resto, l’umanità è una grande famiglia: ci distinguiamo per mille caratteristiche, tranne che per la fatica con cui accettiamo la diversità degli altri, ossia per l’ottusità che, ironia della sorte, molte volte finisce spesso per accomunarci.

Giovanni Boniolo
Curatore di “Visioni & Altre Narrazioni”

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