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Pagare per giocare (ancora): quando il digitale è peggio del casinò

Pagare per giocare (ancora): quando il digitale è peggio del casinò

In un video di Game Ranks, viene mostrato che su Roblox c’è un gioco nel quale devi pagare per respirare. Non è una metafora, è proprio così: spendi soldi veri per continuare a simulare l’ossigenazione polmonare di un avatar. Nel 2025 paghi per tutto, dal film in streaming alla musica, passando per app, newsletter e, per chi gioca online, persino per le mosse bonus o per le “stagioni” di un videogioco. Secondo una ricerca di Mastercard, la subscription economy nel 2028 raggiungerà i 9,8 miliardi di euro e ad oggi gli italiani spendono circa 1.500 euro all’anno per gli abbonamenti, con attivi in media 7,2 servizi a persona. Vediamo quando il digitale, in particolare il gioco online, supera le logiche economiche del casino. 

Le follie del nuovo gioco digitale

La lista delle follie digitali si allunga come la queue su League of Legends la domenica pomeriggio. Nel fantastico mondo dei “pay to play” moderni:

  • Harry Potter: Hogwarts Mystery ti fa pagare per non far soffocare il protagonista tra le tentacolari mani di un diavolo: sì, paghi per un respiro virtuale; 
  • Tekken 7: servono 3 dollari per vedere i dati dei colpi, cioè le info fondamentali per chi vorrebbe giocare con un minimo di strategia. Un affarone; 
  • Mortal Kombat 1: da cult delle “fatality”, ora si sblocca la brutalità via abbonamento stagionale. Più che finire l’avversario, qui finisce il tuo conto PayPal; 
  • Roblox: “pay to breathe” è solo il culmine di una spirale involutiva dove la sopravvivenza dell’avatar è subordinata alla tua carta di credito.

La domanda nasce spontanea: non siamo più nel mondo delle slot, ma in quello delle skin. Eppure la logica di fondo resta la stessa: spendi per possedere l’illusione di poter vincere. Solo che, invece di chip colorate, accumuli cappelli digitali e “power-up” esclusivi.

Casinò: entri, giochi, paghi

Nel gioco d’azzardo reale, la transazione è pulita. Decidi quanto vuoi rischiare, giochi, e il round finisce lì. Non ci sono pacchetti “Super VIP”, né abbonamenti “Gold per raddoppiare il payout”. La vincita, come la perdita, è netta. Nessuno ti chiede di pagare per vedere la seconda carta o per accedere al tavolo di quelli “più fortunati”. Chi vuole provare l’esperienza più lineare e trasparente del gioco, quella in cui il rischio è chiaro e il prezzo è dichiarato, la trova nei migliori siti di blackjack in Italia, un raro esempio di gaming dove paghi davvero solo per giocare. Forse è tutta qui la vera differenza tra il vecchio tavolo verde e le nuove subscription digitali: il casinò ti invita a rischiare consapevolmente, il game store ti convince che non lo stai facendo.

Il concetto di ‘pagamento infinito’

Decenni fa il “possesso” era tangibile: compravi un videogioco e l’esperienza era finita, ti godevi tutto ciò che c’era. Ora, invece, il digitale ha rigenerato il concetto di possesso: compri il gioco, ma poi devi prendere anche la skin, l’espansione, la modalità nuova, la mappa dispersa, lo “Special Move Pass”. È come se un casinò ti facesse pagare per vedere le carte, poi ancora per usarle e ancora per sederti al tavolo. La transazione è diventata il centro stesso dell’esperienza ludica. 

Pago, quindi gioco?

Tra una microtransazione e l’altra, la digital culture si è mangiata il significato classico del “gioco a pagamento”: abbiamo imparato a pagare, non solo per partecipare, ma per sentirci parte di qualcosa: un club, una stagione, una community. In un tale contesto forse il vero brivido è tornare al casino: qui il prezzo è scritto, il rischio pure. Sul web inoltre c’è anche il rischio delle truffe online che spesso passano proprio da transazioni o da abbonamenti. Bisogna quindi stare attenti e avere sempre consapevolezza anche in merito alle piattaforme su cui si gioca. 

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