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L'intervista

“Investiamo su giovani e società. Altrimenti il ciclismo morirà”

Il campione olimpico Silvio Martinello a Rovigo lancia la corsa per la presidenza Fci. “Ripartire dai territori per invertire la tendenza”.

“Investiamo su giovani e società. Altrimenti il ciclismo morirà"

Silvio Martinello, padovano, 61 anni, cinque volte campione del mondo su pista, oro olimpico ad Atlanta 1996 e bronzo a Sydney 2000, è candidato alla presidenza nazionale della Fci.

Ripartire dal basso. Dai territori, dalle società che fanno attività giovanile, da quei dirigenti - purtroppo sempre meno, anche per motivi anagrafici - che fanno di tutto, dai magazzinieri agli autisti, pur di continuare a far vivere un sogno.

Silvio Martinello, già campione olimpico su pista, l’altra sera nella sede della delegazione polesana della Fci, in viale Porta Adige a Rovigo, ha presentato la propria candidatura alla presidenza nazionale della Federciclismo. Il cui obiettivo poggia su un’immagine forte: “Quella della piramide rovesciata, che è lo stato in cui si trova oggi il nostro movimento - spiega - fatto di atleti di alto livello che ci regalano enormi soddisfazioni, ma di un’attività di base con sempre meno iscritti e società. Così non c’è futuro, e se non invertiamo la tendenza la piramide è destinata a crollare”.

Martinello, la situazione del ciclismo italiano è davvero così a rischio?

“Abbiamo sempre meno iscritti e perdiamo società. Ma sono le società che fanno il reclutamento sul territorio. La loro attività è fondamentale, e dobbiamo preservarla perché l’alternativa è sparire. La priorità immediata è dare nuova linfa alle società giovanili”.

Come?

“Mettendole in sicurezza. Attenzione: non parlo di dare denaro a pioggia ma di sollevare le società da costi di affiliazione e tesseramento, e di prevedere premi al raggiungimento di certi numeri o per chi si impegna nella filiera delle giovanili, dai Giovanissimi agli Allievi. Insomma, dobbiamo fare sentire la vicinanza della federazione alla società. E non solo dal punto di vista economico”.

Che altro c’è?

“Vanno snelliti gli adempimenti burocratici, che sono tantissimi e difficili da gestire per una platea che, magari, non ha tanta dimestichezza non le tecnologie. Per non parlare di chi organizza eventi e corse, e che deve sobbarcarsi responsabilità penali. Ci sono società che davanti a questi ostacoli si spaventano e magari mollano. Non possiamo permettercelo. Ed è per questo che serve un nuovo corso”.

Come si attirano più praticanti?

“Per esempio con un serio piano di promozione, entrando nelle scuole. Intendiamoci: io stesso sono venuto diverse volte in provincia di Rovigo a parlare nelle classi, ma erano iniziative sporadiche e frutto di buoni rapporti di dirigenti locali con i presidi. Non c’era un progetto complessivo. Dobbiamo partire da lì, e fare un accordo con il ministero per la promozione del ciclismo negli istituti. Di pari passo, dobbiamo fare in modo di mettere in sicurezza le società che hanno resistito fin qui e creare le condizioni perché ne nascano di nuove: è inutile ispirare un ragazzo che poi chiede ai genitori di iniziare a fare ciclismo ma la società più vicina è a 40 chilometri. I genitori, ovviamente, non ce lo porteranno mai. Guardi: in provincia di Padova ci sono ormai sei società. Un numero bassissimo”.

Lei si era già candidato presidente quattro anni fa, cosa la spinge a riprovarci?

“Quattro anni fa alla prima votazione fui il più votato. Poi si creò un clima ostile, alimentato da chi aveva fin lì gestito la federazione, di timore e paura nei miei confronti. Gli altri due candidati fecero fronte comune, impedendomi di vincere. Ma quel risultato per me è stato lusinghiero, e in questi anni ho ricevuto continue sollecitazioni che mi hanno convinto a riprovarci. Credo che ora i tempi siano maturi: è chiara a tutti la necessità di voltare pagina e percorrere una strada nuova”.

Eppure le recenti Olimpiadi hanno portato medaglie e soddisfazioni alla spedizione azzurra. D’accordo: su strada non abbiamo un campione in grado di competere con fuoriclasse come Pogacar ed Evenepoel, ma in pista i successi sono arrivati.

“Questi risultati sono frutto della bravura dei nostri tecnici e della presenza di atleti di qualità assoluta. Ma non c’è programmazione, che è fondamentale per la continuità dei risultati, e non ci sono le strutture: i nostri velodromi non hanno nessun genere di supporto. Non c’è materiale, non ci sono risorse umane, e non esiste un calendario di gare all’altezza per far crescere gli atleti. Quando si ritirerà Viviani, e magari Ganna, come ha annunciato, o altri faranno scelte personali diverse, orientandosi magari di più alle gare su strada, rischiamo che finisca un’èra. La stessa cosa è successa nella mia epoca: dopo la fine anni ’90 abbiamo dovuto aspettare vent’anni per tornare competitivi. La programmazione serve proprio per evitare di dover aspettare la nascita di un fenomeno”.

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