VOCE
Editoria
22.10.2018 - 22:11
Il sottosegretario Vito Crimi ha di nuovo annunciato che i fondi per l’editoria saranno dimezzati nel 2019 e aboliti nel 2020.
Insomma, continua quella guerra del Movimento 5Stelle contro il mondo dell’informazione che sembra non tenere in alcuna considerazione la differenza tra grandi colossi (che già oggi non percepiscono un euro) e piccole realtà editoriali che in queste condizioni non potranno fare altro che chiudere i battenti.
Ma quello che sfugge (oppure non sfugge, ma fa gioco dire così) è che in ballo c’è un intero settore. Un settore fatto di cooperative di giornalisti ed editori no profit, non certo di grandi giornali. Parliamo - tanto per essere chiari e diretti - di 150 aziende coinvolte, editori di quotidiani locali, provinciali e regionali, di mensili e di settimanali cattolici. Un mondo che che occupa 10mila persone fra giornalisti, grafici, impiegati amministrativi, pubblicitari, oltre a tutto l’indotto che va dalle tipografie ai trasporti fino alle edicole.
Il fondo per il pluralismo è passato dai 700 milioni del 2008 ai 60 milioni di oggi. Meno che in tutti gli altri paesi europei. Un taglio che è stato frutto di una riforma che ha visto come protagonisti proprio i soggetti interessati, capaci di darsi regole ferree di selezione. E’ un meccanismo che premia solamente società virtuose, in regola con tutti i parametri (a partire da stipendi e contributi) e che versano fior di tasse all’Erario. Chi non è in regola è stato già tagliato fuori. La riforma, che grazie ai suoi criteri e alle sue regole rigidissime ha sanato anche le ultime storture del sistema e ha aperto la strada alle esigenze del digitale, è entrata in vigore nel 2018. Vale a dire quest’anno.
Eppure la si vuole abolire con un colpo di penna, facendo finta di non vedere le conseguenze di questo gesto. Quali? La chiusura di gran parte delle aziende coinvolte, con un perdita secca, e immediata, per le casse dello Stato che oltre ai mancati introiti in imposte sarà costretto a farsi carico delle spese improduttive legate alla cassa integrazione e alla disoccupazione degli addetti. Non serve un ragioniere per capire che lo Stato ci rimetterebbe, da subito, un sacco di soldi. Che la cassa di previdenza dei giornalisti andrebbe in default, e che a farsi carico di tutto sarebbero ancora una volta i contribuenti. Ma è proprio quello che si vuole?
Certo, il governo non è un monocolore del M5S, come dice il responsabile della Lega per i problemi dell’editoria, Alessandro Morelli. “Noi la posizione di Crimi non la condividiamo e non la sosterremo. Quella proposta non passerà. Nel contratto di governo quello che dice Crimi non c’è, quindi dovrà essere discusso. Loro possono insistere quanto vogliono, io però insisterò dall’altra parte. Crimi vale uno, come me. Le chiacchiere mi pare stiano a zero”.
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