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finanza
12.04.2019 - 13:28
Le tangenti del Mose, dopo essere transitate dalla Svizzera, erano finite in una banca di Zagabria
La Guardia di Finanza di Venezia ha sequestrato ieri, su ordine del Gip della città lagunare, circa 12,3 milioni di euro, ritenuti profitto dei reati di riciclaggio internazionale e di esercizio abusivo dell’attività finanziaria commessi, a vario titolo, da 6 indagati. Il provvedimento arriva a seguito delle indagini della Procura di Venezia sul reinvestimento all’estero dei proventi della corruzione realizzata dall’ex governatore del Veneto Giancarlo Galan nell’ambito della costruzione del Mose.
I sequestri scatti ieri riguardano disponibilità finanziarie detenute presso banche venete, 2 imprese e quote di società e 14 immobili in Veneto e Sardegna. Tra gli indagati compaiono il commercialista di Galan e la sua consorte.
Secondo quanto emerso da indagini e accertamenti tecnici, tra il 2008 ed il 2015 due commercialisti padovani avevano garantito, tramite il loro studio professionale, l'intestazione fiduciaria di quote di una società veneziana, che dalle indagini sul Mose era risultata essere di fatto riconducibile a Galan. Inoltre, i professionisti avevano messo a disposizione conti correnti in Svizzera, intestati a società di Panama e delle Bahamas e gestiti da due fiduciari elvetici, le cui somme sono state successivamente trasferite su un conto corrente in una banca di Zagabria, intestato alla moglie di un terzo professionista dello stesso studio padovano.
Ulteriori indadini e l’esecuzione di una rogatoria in Svizzera hanno permesso di accertare che il ricorso all’interposizione di società in paesi off-shore era stato utilizzato dai professionisti esteri su larga scala e in maniera professionale per consentire a numerosi imprenditori veneti di riciclare ingenti somme proventi dell’evasione fiscale realizzata nel tempo.
Nel corso della perquisizione negli uffici di una società fiduciaria elvetica, è stata infatti sequestrata una lista contenente i nomi di numerose società italiane che avevano affidato la gestione dei capitali derivanti dal “nero” ai professionisti svizzeri, i quali - pur non avendo i requisiti per l’esercizio dell’attività finanziaria in Italia - li avevano raccolti e fatti transitare su conti esteri intestati a società olandesi, svizzere, rumene, di Panama, Curacao e delle Bahamas, una delle quali aperta tramite lo studio Mossak Fonseca, emerso nell’ambito dei cosidetti “Panama Papers”.
Successivamente, le somme sono rientrate nella disponibilità degli imprenditori italiani che le hanno utilizzate per effettuare investimenti anche di natura immobiliare in appartamenti di lusso a Dubai e in fabbricati industriali in Veneto.
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