VOCE
Il libro
08.12.2021 - 21:29
“Ho deciso di scrivere questo libro (si intitola “La pandemia mafiosa”, Rubettino editore) per tutti quei segnali che ci dicevano quanto la crisi conseguente al Covid rischiasse di diventare un terreno di caccia delle cosche”. Paolo Lattanzio, parlamentare del Pd, membro della Commissione antimafia della Camera dei deputati, protagonista di iniziative importanti, come quella di portare il dibattito sulle infiltrazioni mafiose nell’hinterland milanese, è stato fra i primi a portare alla luce questo tentativo della mafia di fare affari grazie alla pandemia. E adesso lo ha anche messo nero su bianco, in un libro dal titolo che da solo dice tutto: “La Pandemia mafiosa”, uscito nei giorni scorsi per i caratteri di Rubettino.
Ed oltre alle presentazioni ufficiali (a cui si dedicherà ovviamente quando l’attività parlamentare gli concederà un po’ di tregua) su questo argomento ha rilasciato un’interessante intervista a Vita, il magazine mensile dedicato al racconto sociale, al volontariato, alla sostenibilità economica e ambientale e, in generale, al mondo non profit. Intervista in cui Lattanzio spiega il perché di questa sua convinzione e della sua scelta di farne una battaglia politica: Perché “i mafiosi lavorano dal basso e sul territorio. Nello stesso modo deve operare l’antimafia. Dobbiamo cominciare nei micro ambiti”.
Che è una ricetta prima di tutto politica adattabile a tutti i settori della vita quotidiana. Oltre a presiedere il comitato che nell’ambito della bicamerale Antimafia si occupa delle infiltrazioni mafiose in epoca Covid, il parlamentare parla di una sua sensazione che si è via via rafforzata. Una sensazione “che mi diceva che sia dal lato economico che da quello sociale stavamo vivendo una grande fatica che avrebbe aperto alle porte alle attività mafiose. L’usura in particolare prospera nei momenti di difficoltà economica”, ha spiegato ancora come si può leggere nell’intervista integrale su Vita.it. Una sensazione che purtroppo ha trovato esempi concreti, anche se numeri reali non ci sono, e non potrebbe essere diversamente visto che l’usura è probabilmente fra i fenomeni più sommersi e difficili da indagare.
La cartina di tornasole, in questi casi, sono le denunce. “In questo senso abbiamo avuto un modesto ma chiaro aumento delle denunce di questo tipo di fenomeni proprio nei primi sei mesi del 2020. E a fianco di questo dato, la Guardia di Finanza ha certificato il raddoppio, nello stesso periodo, delle confische. Detto questo io nel libro traccio degli scenari. Confermati dalla relazione semestrale della Dia e dalla Uif della Banca d’Italia: il rischio di infiltrazione mafiosa nei nuovi settori commerciali ed economici diventati prioritari con la pandemia è evidente. Il rischio di infiltrazioni in imprese che erano sane e che rischiano di essere espropriate dai criminali è evidente. L’impoverimento delle comunità sociale, la perdita di lavoro e la grande disponibilità di usura sono evidenti”.
E ancora: oggi “non sono più gli usurai ad andare a cercarsi i clienti. Ma sono gli imprenditori che vanno a cercare l’usura. Questo certamente dipende da una quota di disperazione. Ma ci dice anche che c’è un problema culturale: per molti cittadini l’usura è una delle tante leve finanziarie possibili. L’antimafia di prossimità è la risposta uguale e contraria al modus operandi mafioso. I mafiosi lavorano dal basso e sul territorio. Nello stesso modo deve operare l’antimafia. Dobbiamo cominciare nei micro ambiti”.
E per fare questo serve una forte presenza (e sensibilità) sociale, una battaglia che è legale, certo, ma anche culturale. “E’ prima di tutto è una battaglia culturale... Se parliamo di mafia parliamo principalmente di un tema culturale e sociale. Che quindi ha anche fare con la scuola ma con qualunque altro spazio di aggregazione e formazione. Deve diventare una discriminante. Soprattutto in una fase di impoverimento economico, educativo e culturale”.
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