VOCE
Il caso
21.12.2025 - 15:12
La sveglia suona quando fuori è ancora buio. Nel corridoio angusto, un mare di scarpe, sacchi di plastica e stuoie improvvisate. L’odore è quello acre dei panni bagnati, mescolato al vapore di una pentola lasciata sul fornello. Sul pavimento, dieci materassi appaiati; gli altri sono infilati sotto il tavolo, tra i letti a castello smontati e le valigie. Nella stanza più grande, un filo da bucato taglia in due lo spazio. È lì che, secondo gli investigatori, dormivano a rotazione fino a quarantadue uomini, tra i 20 e i 40 anni, arrivati dal Pakistan e dal Bangladesh. A bussare, poco prima dell’alba, sono gli uomini della Guardia di Finanza. Il “dormitorio” è in un appartamento di Vedelago, nel Trevigiano. E quello che trovano – letti ammassati, cucine di fortuna, bagni al limite – ricompone il puzzle di un sistema: caporalato vecchio stile, mascherato da cooperativa con sede di comodo e un referente straniero per il reclutamento.
Il quadro emerge da un’operazione lampo delle Fiamme Gialle trevigiane che, stando a fonti investigative locali e a riscontri recenti sul fenomeno, hanno documentato condizioni igieniche “al limite” e una gestione in mano a un referente pakistano affiancato da un presunto responsabile locale sulla cinquantina. La “cooperativa”, di fatto, sarebbe stata il guscio formale per mettere a disposizione manodopera a basso costo nel territorio, specie nei periodi di picco stagionale. Il modello non è nuovo nella Marca: già durante la vendemmia 2025 la Finanza di Treviso ha contestato impieghi irregolari e subappalti opachi, con un reclutamento riconducibile a un cittadino pakistano e braccianti bengalesi privi dei titoli per lavorare.
Secondo quanto ricostruito, l’accesso è scattato nelle prime ore del mattino, quando il “cambio turno” delle braccia impiegate in campagna o in piccoli cantieri rende più probabile trovare tutti in casa. Gli operatori della Guardia di Finanza avrebbero eseguito rilievi e acquisito immagini delle stanze, documentando l’adattamento degli ambienti: soggiorni convertiti a camerate, materassi a terra, cucine condivise per decine di persone, prese multiple e allacci di fortuna. Uno scenario purtroppo coerente con altre indagini recenti in Veneto e nel Nordest, dove non di rado si scoprono dormitori in immobili residenziali o in capannoni “apri e chiudi”. Nel Vicentino, pochi mesi fa, un’operazione congiunta tra Polizia Locale e GdF aveva individuato appartamenti affittati “in nero” e trasformati in camerate per stranieri, con sanzioni a pioggia.
Nel Trevigiano, le ispezioni di questi anni hanno fotografato dinamiche simili anche in ambito manifatturiero: laboratori tessili o di packaging con standard di sicurezza carenti e lavoratori in nero, spesso stranieri e sotto-ricatto. A fine aprile 2025, la GdF di Treviso, con gli organi ispettivi sanitari e del lavoro, ha sequestrato due laboratori per violazioni sulla sicurezza e impiego irregolare di personale. Un campanello d’allarme che torna utile per leggere la “filiera” emersa a Vedelago.
Il perno operativo, stando a quanto riferito, ruoterebbe attorno a un reclutatore pakistano – un “caporale” di fatto – e a un responsabile locale di circa 50 anni. La veste giuridica utilizzata sarebbe stata quella di una cooperativa di servizi, formula ricorrente nel territorio quando si punta a “spalmare” responsabilità e costi, formalizzando contratti brevi o ricorrendo a subappalti. Già a ottobre 2025, nel pieno della vendemmia, i finanzieri avevano segnalato una società di servizi guidata da un cittadino pakistano che reclutava braccianti bengalesi senza titolo di soggiorno idoneo, poi impiegati in un fondo agricolo trevigiano. Un dato che, per analogia, aiuta a comprendere la struttura e i ruoli ipotizzati anche nel caso di Vedelago.
Nelle inchieste più recenti sul caporalato in Veneto e nel Nord, il copione si ripete: paghe sproporzionate rispetto alle ore, riposi compressi, sicurezza sul lavoro sacrificata. In alcuni casi, come documentano operazioni condotte tra Veneto e Lombardia, si arriva a veri e propri “fabbrica-dormitorio” dove si lavora fino a 90 ore a settimana per 4 euro l’ora, con stanze trasformate in letti a castello per squadre a rotazione. Anche se ogni indagine fa storia a sé, questi riscontri consolidati delineano il contesto in cui si muove il caso trevigiano.
Il punto più sensibile, nel caso di Vedelago, riguarda gli alloggi: la presenza di 42 uomini in un singolo appartamento indica una gestione abitativa al limite, con possibili profili di sovraffollamento e affitti in nero. Uno schema che le forze dell’ordine intercettano ciclicamente nelle aree di forte domanda di manodopera: blitz analoghi hanno portato, ad esempio, a decine di sanzioni e denunce in Friuli Venezia Giulia e nel Vicentino, proprio per appartamenti “trasformati in dormitori”.
La cornice penale è l’articolo 603-bis del Codice penale: “intermediazione illecita e sfruttamento del lavoro”. Gli indici tipici sono retribuzioni palesemente inferiori ai contratti, violazioni sistematiche di orari, sicurezza ignorata, condizioni alloggiative degradanti, approfittando dello stato di bisogno. Nelle indagini condotte nel 2025 dalla Guardia di Finanza – da Catania a Palermo, fino al filone sui cantieri pubblici coordinato dalla Procura di Biella – tornano sempre gli stessi fili rossi: lavoratori stranieri in stato di necessità, turni massacranti, subappalti a catena e minacce a chi protesta. Il quadro è utile per leggere anche le carte trevigiane, in attesa degli sviluppi giudiziari.
Già a ottobre 2025, i controlli della Finanza di Treviso sulla vendemmia avevano portato alla luce 14 braccianti irregolari (di cui 13 completamente “in nero”) e tre lavoratori bengalesi sprovvisti del titolo di soggiorno per motivi di lavoro, reclutati – si legge nelle cronache – da una società di servizi guidata da un cittadino pakistano. La stessa stagione ha visto, in altre testate locali, ulteriori dettagli su indagini parallele nei vigneti del Prosecco DOCG, con un imprenditore di origine pakistana e squadre impiegate a Valdobbiadene, a riprova di una filiera “ombra” che intercetta la domanda di lavoro agricolo stagionale.
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